4 (parte I)

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LEONOR

   «Stai ferma.» Trevor stringe appena sotto la ferita. Cerca di ridurre i miei sussulti mentre mi ricuce, ma io non gli do ascolto e mi ribello. Sposto il braccio infastidita dall'ago che entra nella pelle. Al che la mascella di Trevor freme. È concentrato. «Nor, farai saltare i punti» mi ammonisce. Non è la prima volta che lo fa.

Il carro trema sopra i sassi della strada e non è d'aiuto: rende goffi i tentativi di Trevor di ricucirmi. Riduce i suoi movimenti a spasmodici cerchi tracciati tra aria e carne.

   «Sai cosa me ne importa dei punti» sospiro e il mio peso ricade sulle cosce strette nell'uniforme. Trevor può mettere quei punti come vuole, o forse è meglio dire 'come riesce'.

   «Be', dovrebbe importarti.» Lui non mi guarda, ma so che ha un'espressione dura, da rimprovero. Lo sento nella sua voce, in quel tono tagliente che sfodera in rare occasioni. Inoltre, è chiaro nei suoi movimenti, appositamente poco delicati, come se volesse farmi capire quanto male possa fare qualcosa che – in fin dei conti – non m'importa.

   «È una brutta ferita, anche parecchio profonda» dice e io schiocco la lingua.
Non ho bisogno della sua preoccupazione, tanto meno dei suoi rimproveri.

   Se solo mi avesse dato ascolto...
No, niente 'se'. Non è nemmeno colpa sua. La colpa è mia, penso mentre Cassian sprona Joseline e Carrie al galoppo. Allora alzo lo sguardo su di lui, sulla sua schiena e sull'uniforme stretta che ne evidenzia i muscoli tirati.

Da quando ho ripreso i sensi, Cassian non ha proferito parola. È palese: Trevor non è l'unico a essere preoccupato. E questo, m'infastidisce. Non voglio vederli così, non c'è alcun motivo per cui debbano premurarsi tanto. Non per me.

   «Non te la saresti procurata se non fossi andata da sola in ricognizione.»
Eccola. Dopo tanto silenzio la voce calma e neutra di Cassian taglia l'aria con la stessa forza con cui la sua alabarda cala sulle Bestie. È un taglio netto, brutale. Peccato che la sua espressione esprima più di quanto faccia vedere.

   Paura e colpa, ecco cosa dicono i suoi occhi. Si è voltato appena un attimo per fulminarmi con lo sguardo, e quello è stato più che sufficiente.
Mentre alzo i miei al soffitto del carretto che presto dovremo sostituire - o per lo meno rattoppare - devo far fronte a tutto l'autocontrollo che possiedo per non rimproverarlo a mia volta.

L'aria è già abbastanza tesa, anzi – che dico? – si fende con le dita. Come i vapori nel laboratorio dei Fabbricaveleni che si adagiano sulle lenti di Trevor e che lui toglie con i polpastrelli.

   Davanti a noi abbiamo ancora tanta strada, la Congrega è lontana, motivo per cui non voglio aggravare la tensione.

    Mi chiedo perché tutti questi sensi di colpa però... Sono io che ho sbagliato! Trevor e Cassian non hanno bisogno di struggersi per un errore mio.

Ho già detto cosa penso di quello che è successo: era solo questione di attimi perché i festeggiamenti richiamassero delle Bestie. E di fatto, un Lupo era in agguato. Uno solo...

   «Damash è fortunata: era solo un Lupo.» Anche se non lo abbiamo ucciso, sono stati fortunati.

   Provo a cambiare discorso, per tornare a quello principale: al fatto che abbiamo lasciato scappare un grosso lupo nero e feroce. Non certo un cucciolo e, a giudicare dalla sua velocità, neppure un Lupo inesperto.

   «Cas,» lo richiamo e vedo la sua schiena irrigidirsi, «se devi preoccuparti di qualcosa, preoccupati di quella Bestia che è ancora a piede libero. Perché non l'hai inseguito?»

   «Hai perso i sensi, ecco perché» risponde lui, senza esitare. «E poi, il Lupo si era già ritirato.»

   Calo lo sguardo su Trevor e inspiro per il bruciore simile a tanti piccoli spilli arroventati che scavano nella carne. Lui tira il filo e strizza i due lembi di pelle per riattaccarli, poi finisce con un nodo e taglia il filo con i denti.

Sangue e Petali d'Ardesia Where stories live. Discover now