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LEONOR

   Bastardo. Io sarei finita nella sua trappola?

Il gatto che rincorre il topo. Questa è l'immagine che mi si ripropone in mente. Sempre la stessa. Fin dal primo istante ho pensato che dei due – Gareth fosse il topo. Uno stupido topo che gioca con le diverse trappole messe a sua disposizione e che salta tra una molla e l'altra stuzzicando pezzi di formaggio qua e là, prendendosi gioco del gatto che attende acquattato nell'ombra.

Ma, prima o poi, le sue zampette premeranno troppo attorno al formaggio. Basta un attimo di distrazione per essergli fatale.

   Mi sembra di poter percepire il peso del topo che vacilla.

   L'ingranaggio si aziona e... zac.

   «Non hai fame?»

   Sbatto rapidamente le palpebre. Gli spasimi delle zampette della bestiola vengono sostituiti da quell'inguardabile specie di polpettone grasso che ho nel piatto. In realtà, sì, ho fame. Tuttavia non riesco a mangiare. L'odore che emana la carne è forte e quello di bruciato gli fa da degno avversario.

   Gareth è seduto dall'altro capo del tavolo, un gomito poggiato sulla superficie lucida e graffiata e il mento sorretto dal palmo, mentre con le dita si gratta la barba rada che ha sulle guance.

   Mi fissa imperscrutabile. Faccio una smorfia giocando con il cibo. Sposto le patate mezze crude con la forchetta opaca e conficco il coltello nella carne che trasuda grasso. Quella specie di pelle in superficie oppone una certa resistenza all'inizio, dopodiché il metallo della posata produce uno stridulo suono al contatto con la porcellana sottostante.

   Sospiro. «Non riesco a mangiare quando dei cani mi ringhiano contro.»
È una mezza verità.

   Puntualmente, Mynthae emette un ringhio d'ammonimento. Mi guarda torva con una luce sinistra nei suoi occhi verdi e il pelo ritto sulla schiena. Ha la coda gonfia, tale e quale a quella di una volpe.

   Mi odia, e non si sforza nemmeno di nasconderlo, osservo.

   Spalanca le fauci. Essendo a qualche passo di distanza, mi inonda del suo alito pestilenziale, un misto di sangue rancido e carne andata a male. Mi domando se lei, al contrario di me, abbia mangiato a sufficienza.

   «Mynthae, smettila» le ordina il padrone. Un briciolo di resistenza balena sul suo lungo muso, fa tremare le sue sottili labbra a contatto con le zanne, ma poi cede il passo a una muta obbedienza e, dandomi le spalle, ancheggia via.

   Io allora sposto l'attenzione all'altro scagnozzo di Gareth.

   È silenzioso, seduto come il più addestrato e mansueto dei segugi. Se ne sta per i fatti suoi, il pelo grigiastro una fredda macchia sulle tende lacere e scarmigliate. Aggrotto le sopracciglia concentrandomi sulla sua ombra, una spigolosa ombra dura come la pietra. Poi Gareth si riappropria della mia attenzione.

   «Dovresti assaggiare il vino, non capita tutti i giorni di poter aver un'annata del genere sulle proprie tavole.» La sua voce giunge chiara e io ruoto il capo nella sua direzione. Ha portato i piedi sul tavolo incrociando le caviglie con una naturale e fastidiosa sicurezza. Fissa l'etichetta ingiallita della bottiglia che ha stappato appena mi sono seduta e con il cui contenuto ha riempito fino all'orlo sia il mio che il suo calice di cristallo. «Oh, sì. Quell'anno è stato fantastico,» i suoi canini fanno capolino punzecchiando le labbra piene, «abbiamo vinto il torneo delle corti sbaragliando tutti i campioni dei conti del sud. In finale... Oh, ricordi Joy? In finale ho avuto l'occasione di perforare l'armatura di Lioniel, anche lui una vera testa calda. Ha voluto gareggiare di persona senza un suo campione. Peccato per quella sciocca regola: vietato ferire mortalmente l'avversario.» Fa un'espressione che definirei disgustata, ma non lo è per davvero. Finge di esserlo per puro scherno assuefatto dall'ebbrezza. «Che senso ha organizzare dei tornei, se i principi che vi gareggiano non possono rischiare di perdere la vita?»

Sangue e Petali d'Ardesia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora