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GARETH

   Mi sveglio di soprassalto con la guancia premuta contro il pavimento ricoperto di peli, stracci maleodoranti e resti del letto che ho pian piano provveduto a distruggere con gli artigli.

   Brividi di freddo corrono lungo le gambe. Devo aver calciato via le coperte agitandomi nel sonno.

   Oltre le ciglia e l'opacità della vista stanca, mi accorgo di essere ancora in forma umana.

   Umano. Non lo rimarrò per molto però. Il tramonto è prossimo e la notte mi chiama. Non ho più le forze per respingere la maledizione. Gli artigli reclamano il loro spazio e io ho bisogno di qualcosa da rompere per scaricare i nervi. Qualcosa a cui togliere fiato, e con il cui sangue poter decorare le pareti di questa triste camera da letto.

   Sembra una bettola, più che la stanza di un principe, rifletto.

   Una volta non era così. L'intero palazzo non era così... deprimente.

   Gli occhi cadono lungo le pareti nord, tra ritratti di famiglia rovinati dalle mie notti insonni. I graffi che le percorrono, quelli sì che sono deprimenti.

Quando la parete comincia a stufarmi, sposto lo sguardo sul rossore del crepuscolo che tinge le tende sgualcite, oltre le quali c'è un'altra sezione di muro piena di artigliate e intonaco rimosso.

   Gli ultimi raggi del sole filtrano dalle cime degli alberi e incontrano i vetri opachi delle finestre segnando quel momento del giorno. Il calare del sole che mi richiama a sé, abbracciandomi gelido e insapore. E allora non c'è modo di resistere alla maledizione.

   'Solo lei potrà perdonarti.' Quelle parole risuonano nella mia mente. Si ripetono come una lenta e macabra ninna nanna. Ed è difficile reprimere i brividi che percorrono la schiena fino ad afferrarmi la nuca.

   Lei... Dopo secoli ancora non ho la minima idea di cosa significhi. Di chi sia la lei con cui la strega mi tormenta.

   Quella strega ha parlato di 'notte'. Una lei metaforica? Ma la notte non prova emozioni, non può giudicare, mi dico. E se proprio riuscisse a farlo, la notte non perdonerebbe mai. È una signora in attesa del suo nutrimento: grida, sangue e paura. È un nido sicuro per far calare la morte tra di noi in sottili vapori che sanno di rugiada e... nostalgia.

   Due colpi alla porta mi distraggono. Strizzo le palpebre e raddrizzo la schiena. Afferro le lenzuola logore per portarmele al volto e sbadiglio.

Senza attendere una risposta, né bussare nuovamente, Joy scosta la porta con il suo grosso muso grigiastro.

   «Di nuovo quell'incubo?» domanda in nel suo strano modo di trascinare fin troppo le vocali. Non ha mai imparato a muovere bene la lingua sotto l'effetto della maledizione. «Comincio a pensare che sia un miglioramento, i sensi di colpa intendo.»

   Ha un tempismo davvero pessimo, non ho alcuna voglia di beccarmi le sue prediche. «Da cosa deduci che ho fatto un incubo?» Dovuto ai sensi di colpa, per giunta. Assottiglio gli occhi.

   «Ti lamentavi nel sonno» dice con assoluta calma.

   «E cosa ci facevi fuori dalla mia stanza?» lo interrogo io. Una nota velata di minaccia si nasconde nella mia voce.

   Detesto che qualcuno si aggiri in questa ala del palazzo, Joy e Mynthae non fanno eccezione. Lo sanno benissimo. Sto gestendo la situazione anche fin troppo bene.

   Joy non risponde.

   Passo dopo passo, fa il giro del letto – o quel che ne resta – mentre tiene la coda tra le gambe.

Sangue e Petali d'Ardesia Where stories live. Discover now