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LEONOR

   Mi sveglio su di un letto, senza il tanfo della cella che inonda i miei sensi. La luce mi batte sugli occhi mentre una parte di me si crogiola nella consapevolezza di aver vinto contro uno dei peggiori incubi mai fatti. Il cuore ancora mi martella in petto, impazzito. E questo non succedeva da... potrei dire dal massacro a Tabar, ma nemmeno allora ricordo di aver avuto così tanta paura.

Tabar ha risucchiato le mie emozioni. Non avverto nulla ripensando a quei piccoli frammenti rimastimi. Niente. Era ed è tutt'ora un vuoto incontrollato quello che provo. Vuoto che provvedo a colmare con una buona dose di vendetta, nera e cieca, grazie alla quale porto a termine ogni missione. Ciò che ho lasciato alle ombre della notte, è un tormentato sogno pieno di spine e insidie. Un pezzo di me deve aver paura di confrontarsi con qualcosa che non riesce né a spiegarsi né a distruggere: quel maledetto lupo a Damash.

   Quante fantasie pazze ho fatto, però. Da far girare la testa!

   «Una maledizione», sbuffo portando un braccio sugli occhi a ripararmi dalla luce del mattino, «ma come mi è venuto in mente!» Thoth e il Capo mi stanno facendo lavorare troppo, io stessa – lo riconosco – ho chiesto troppo al mio corpo.

   Mi rigiro sotto le coperte ed è a quel punto che noto qualcosa di diverso.
La stoffa delle coperte è leggera sulla mia pelle, la graffia appena, in modo piacevole.

   Leggere e piacevoli, penso, che strano. Quelle di camera mia sono ruvide e vecchie. A malapena avvolgono la mia figura, tant'è che devo ogni volta lottare nel sonno per coprirmi al meglio.

   «Merda» gemo. Una fitta lancinante segna il momento in cui il torpore del dormiveglia si frantuma. Salto a sedere inspirando tra i denti per una seconda fitta che mi abbraccia la coscia destra e risale fino all'addome. Un dolore acuto mi impone di ribaltare la testa e curvare all'indietro la schiena. Mugugno e un altro particolare mi suggerisce di tornare in guarda. Un cuscino morbido e dall'odore floreale mi circonda il capo.

   Decisamente non sono nel mio letto. Non sono nemmeno alla Congrega. Questo significa solo una cosa: quel terribile sogno era reale.

   È reale.

   Immagini caotiche riempiono i miei ricordi con la potenza di tuoni e lampi. Le zanne di quei maledetti e la loro bava si avventano su di me trascinando in aria un tanfo insostenibile.

   Quel maledetto lupo! Non Gareth, non è lui che adesso vorrei stritolare tra le mie mani e giustiziare con il mio pugnale. Ma quel lupo che ha piantato il suo artiglio nella mia coscia.

   «Aspetta che ti riveda, e sai cosa pianto nella tua di carne» Scosto le coperte rammaricandomi di non vedere il mio pugnale da nessuna parte.
Quel pensiero finisce immediatamente in secondo piano.

   Sono nuda.

   Poco m'importa della garza intrisa di sangue che mi avvolge la coscia e del dolore che si è risvegliato. Sono nuda e l'unica cosa di cui mi preoccupo è... chi mi ha tolto l'uniforme?

   «Gareth...» No, non può essere stato lui! Raccolgo le coperte al petto sprofondando nell'imbarazzo. Lui non può... Cerco i miei abiti per tutta la stanza sentendomi ancora più stupida per non essermene accorta prima.

Il letto su cui sono è enorme, così come lo è la camera, arredata da cassettoni i cui pomelli d'oro brillano e le intarsiature pastello riflettono la luce che filtra dalle tende di seta tirate davanti alle finestre. Un candelabro in oro è posizionato di fronte a uno specchio macchiato dall'umidità. Le candele sono consumate per metà.

Sangue e Petali d'Ardesia Where stories live. Discover now