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LEONOR

   Al mio rientro nel palazzo, ad attendermi ci sono le ormai famigliari e umide segrete. Le sbarre della cella strisciano sul pavimento lurido quando Gareth le afferra aprendomi il varco per la prigionia. Un atteggiamento decisamente altalenante il suo, che – devo ammettere, per lo meno a me stessa – mi spiazza ogni volta.

    Gareth si finge un carceriere benevolo. Ho tuttavia l'impressione che il suo sia uno sporco doppio gioco.

   Lo è, decisamente lo è.

Da quando mi ha fiatato addosso che lui c'era a Tabar e che è stato proprio a Tabar che mi ha fiutata, si è fatto piacevolmente silenzioso ma è parso altrettanto cupo e pensieroso. E io ho nutrito con maggior convinzione la speranza che possa essere proprio lui l'artista ignoto delle mie cicatrici.

   Mi riprometto che non devo sottovalutarlo mentre fa scattare la serratura e mi volta le spalle per raggiungere l'uscita.

Pensare meno ai perché del suo comportamento riduce assai il flusso di preoccupazioni e l'elenco delle possibili mosse da fare. Rimango concentrata con il piano più rapido e facile da attuare: ucciderlo. I perché non sono contemplati in questa missione. Le tempistiche nemmeno, meglio non avere fretta. Il come, invece, è da vedersi. Ma l'importante è sapere che la fine arriverà, accompagnata da sangue e fuoco. Niente di diverso dalle solite missioni, dopotutto.

   «A domani, cacciatrice.»

   L'unico diverso qui è lui. La mia preda.

   Gareth compie appena cinque passi poi si ferma, come se aspettasse una mia risposta o addirittura un ringraziamento.

   Magari dovrei inchinarmi a sua Altezza per avermi fatto riassaporare la libertà.

   Sorrido pronta a esprimere il mio più sincero disprezzo ma alla fine non lo faccio. Non devo abboccare all'amo. Ogni sua provocazione è un'arma a doppio taglio e – per adesso – è lui a impugnare entrambe le lame. Deve esserne cosciente e anche per questo non posso sottovalutarlo.

   «Spero non correrai tra le lame di altri cacciatori» dico infine.

   Gareth trema, un piede alzato pronto a imboccare le scale.

   «Perché, stai insinuando che ti preoccupi per me?» Si gira lentamente fino a mostrarmi il profilo e quel suo ghigno dal quale spuntano i canini bianchissimi.

   «Non montarti troppo la testa. Voglio solo avere l'esclusiva sulla tua carcassa. Ci tengo a farti fuori personalmente.»

   Ancora una volta Gareth ghigna e avverto un sospiro abbandonare il suo petto. La mia risposta gli è forse piaciuta? Perché io ero seria, deve sapere che miravo solo a metterlo in guardia. Non ci tengo al suo divertimento. Per niente.

   «A domani» ripete prima di imboccare le scale e lasciarmi al freddo, facile preda delle ombre viscide che si muovono per le segrete.

   Con me rimangono i sospiri lontani dei lupi che montano la guardia. Solo per poco però, perché poi a quelli si aggiungono i numerosi ululati e ringhi. Dal centro della roccaforte questi risalgono fino all'altura dove si erge il palazzo, e come un fiume in piena si riversano giù dalle minuscole fessure sopra la mia testa, riempiendo le prigioni con il loro lugubre incalzare.

   La luna è ancora timida in cielo. Le ore scorrono lente ma quando giunge il suo momento, essa si mostra tagliando le nubi con un pallido argento. E allora io non ho più tempo. Gli ululati sono troppi, riempiono fino all'orlo l'ambiente. Mi abbandono a loro con la speranza che il nuovo sorgere del sole li assopisca. Ma intanto loro grondano attorno a me, fino a che non annego nel sonno.

Sangue e Petali d'Ardesia Where stories live. Discover now