CAPITOLO 6

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Avevo passato tutta la giornata di quella domenica in preda al panico, un panico diverso da quello che di solito assaliva la mia testa.

Pensai al fatto che un uomo, sbucato dal nulla, aveva toccato il mio corpo e per la prima volta in tutta la vita, quel tocco non mi aveva fatto vomitare o perdere i sensi o qualsiasi altra cosa.

Sarebbe stato importante per me trovarlo, sarebbe stato importante per capire perché a lui fosse stato permesso qualcosa che cercavo nelle persone a cui volevo più bene.

Erano anni che provavo a fare qualcosa per Harry, un abbraccio di conforto, due baci sulla guancia al compleanno, ma oltre a poche strette di mano, non riuscivo a fare altro.

Lui mi aveva sempre capita, sostenuta e mai giudicata, semplicemente mi voleva bene.

Eppure sentivo che non tutti i miei guai fossero finiti, sentivo che qualcosa stava per accadere e non potevo più soffrire, non lo meritavo.

La mia particolare storia mi seguiva ogni giorno, come un'ombra, e dovevo portare il peso senza poterne parlare con nessuno.

Sarebbe stato alquanto complicato raccontare il perché di quelle mie paure.

La mattina del lunedì andai in università cercando di deviare la mia attenzione su quelli che dovevano essere gli ultimi esami e sebbene la questione del nuovo professore cominciasse a mettermi inquietudine, sapevo che quella materia potevo passarla ad occhi chiusi con meno impegno rispetto alle altre.

Erano le 9 in punto quando presi posto all'ultima fila, quella in alto, dove potevo vedere la lavagna nella sua ampiezza ma anche quella che molti professori non consideravano poi molto.

Avevo deciso di riprendere le mie sbobinature delle lezioni di un'altra materia, volevo portarmi avanti e speravo che il nuovo professore prendesse alla leggera questa sua prima lezione.

Eravamo tantissimi iscritti al suo corso, lui era davvero così bravo da invogliare chiunque a partecipare, anche chi non frequentava esattamente l'università.

Chissà se il suo sostituto avrebbe continuato a mantenerci tutti attivi...

Così, appena seduta, guardandomi in giro, abbassai la testa il giusto per inserire le cuffiette nelle orecchie per poi collegarle al telefono.

Iniziai scrivere di corsa tutto quello che per me sembrava importante, anche se di solito quei fogli che scrivevo poi li integravo con i libri.

Mi aiutavano a studiare meglio o anche solo a fissare dei concetti come li voleva il professore piuttosto che come li scrivevano i libri.

Passò esattamente un'ora (me ne resi conto guardando l'orologio) quando, tutto d'un tratto, mi resi conto che tutta la classe mi stava fissando.

Tolsi di corsa le cuffiette e poi, girandomi verso le scale che portavano alla mia fila, notai che il professore era proprio lì, ad un passo da me, e mi stava fissando come tutti gli altri.

Ebbi quasi un mancamento dato l'imbarazzo che provai.

<<Lei è la signorina...?>>.

Aveva dei fogli in mano, che scorreva con gli occhi aspettando la mia risposta.

<<Cooper>>.

Risposi dopo aver mandato giù un bel po' di saliva.

<<Le sembra rispettoso fare altro mentre cerco di impegnarmi a trasmettervi nozioni?>>

Mi venne da storcere il naso a quella frase. Era troppo giovane, non portava il peso di anni di insegnamento alle spalle come la maggior parte dei professori di quell'università. Insomma, non poteva essere già stufo del suo lavoro, quindi prestava attenzione seriamente a quello che facevano i suoi studenti.

NeverthlessWhere stories live. Discover now