Capitolo 30.~

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-Abby, sei sicura?- Mi domandó James, cercando nei miei occhi qualcosa che tradisse la mia sicurezza.
Naturalmente, fu inutile.
Non ero mai stata così sicura di voler fare una cosa come in quel momento.
Molti nel mio caso avrebbero agito in maniera diversa, ma io morivo dalla voglia di scoprire per quale motivo mio padre fosse tornato. Non per questo non avrei mostrato la mia rabbia.
-Sono sicura, perciò, amore mio, goditi la permanenza qua a Santa Barbara mentre io sarò impegnata.
Dicono che l'oceano sia molto bello, quindi potresti andarci.- Gli consigliai, dandogli un leggero bacio sulla guancia.
Lui mi cinse in vita e si avvicinó pericolosamente al mio orecchio.
-Magari troverò qualche bella ragazza.-Sussurrò malizioso, e io non esitai a tirargli un pugno in pancia.
-Provaci e ti spezzo in due.-Borbottai, allontandomi da lui.
Sapevo che fosse solamente una pantomima, ma adoravo mettergli il broncio.
-La mia bellissima ragazza é gelosa!-Mi derise lui, e in risposta si ricevette una linguaccia.
Lui mi saltò addosso, senza troppa forza per paura di farmi male, e mi fece il solletico.
Cercai di ribellarmi ma mi bloccava, proprio come un predatore con la sua vittima.
Iniziai a ridere fragorosamente mentre il ragazzo mi faceva il solletico.
Quando vide che ero talmente  rossa in viso e che mi stava massacrando, smise, senza però liberarmi.
Si avvicinó lentamente al mio viso, scostandomi una ciocca di capelli.
-Ti amo, Ab.-Sussurrò, prima di fiondarsi sulle mie labbra.
Forse c'era una maledizione su noi due che consisteva nel non farci mai baciare, perché all'improvviso, si aprí la porta della stanza.
-Abby...é arrivato un uomo per te. Non pensavo ti piacessero i vecc--ops, dovevo bussare.-
Cristiano Ronaldo irruppe nella stanza come un tornado, e James si staccò velocemente da me.
Eravamo tutti e tre rossi in viso, ma fortunatamente l'imbarazzo passò subito.
-Bene, allora io vado. Ci vediamo dopo!-Esclamai, schioccando un bacio a James.
-E buon ritorno a Madrid, Cris.-Dissi, dando un bacio sulla guancia al portoghese.
Poi, afferrata la borsa e indossata la giacca, corsi giù dalle scale. (Corsi era un parolone, avevo le stampelle...)

Il mio cuore batteva a mille.
Cosa dovevo dire o fare?
Era la prima volta che stavo con mio padre e perciò non avevo idea di come comportarmi.
Dovevo essere fredda e distaccata? O gentile ma sulle mie?
Con tutti questi dubbi in testa, raggiunsi mio padre che mi aspettava davanti alla porta.
-Ciao, Abby. Ti porto la borsa?-Mi chiese l'uomo, cordialmente.
-No, grazie. Ci riesco benissimo da sola.- Borbottai brusca, stringendomi la borsa contro il petto.
Lui annuì, e continuò ad incamminarsi, verso una meta a me ignota.
Morivo dalla voglia di sapere dove stessimo andando, ma qualcosa mi bloccava nel chiederglielo.
-Stiamo andando in un posticino affacciato all'oceano, piuttosto riservato e conosciuto. Non è molto lontano.-Mio padre spezzò il silenzio, saziando la mia curiosità.

Fortunatamente fu di parola.
In meno di dieci minuti intravidi il mare, e in quindici minuti potei sedermi sulla sabbia bianca.

-Abby...-Cominciò lui, ma io lo bloccai.
Non avevo voglia di udire le sue scuse, perché sicuramente stava per parlare di ciò.
-Come ti chiami?- Chiesi, prendendolo di sorpresa.
Mia madre, in diciotto anni di vita, non aveva mai pronunciato il suo nome.
-Dylan. Mi chiamo Dylan.-Disse l'uomo, osservando con i suoi occhi glaciali la vasta distesa dell'oceano.
-Tua madre non ti ha mai parlato di me?- Domandó lui, e io annuì.
-No. Non ho mai visto una tua foto, non sapevo il tuo nome, non so che cosa tu faccia nella vita e perché tu te ne sia andato. Non so nulla di nulla.-Mormorai, prendendo della sabbia in un pugno e iniziando a giocherellarci.
Lui sospiró e osservò il movimento delle mie mani, prendendosi tutto il tempo necessario per rispondermi.
-Mi chiamo Dylan e sono un meccanico.
Ho trentanove anni e sono cambiato.
Ero una vera e propria testa calda da giovane, e non è stato facile per me accettare l'idea di aver messo incinta una ragazza di sedici anni.
Quando ho saputo che erano ben tre gemelle é stato peggio.
Lo so, non è una giust--

L'uomo poteva andare avanti con le sue scuse fino all'infinito, ma io mi ero già stancata.
E inoltre, la rabbia si stava facendo sentire.

-Perché sei tornato? Come faccio a sapere che sei davvero tu il mio vero padre? Perché devo davvero crederti?- Sbottai, fregandomi altamente di averlo interrotto, mentre lasciavo cadere la sabbia, tutto in un colpo.
Odiavo i cambiamenti come non mai.

-Perché per tutti questi anni, non ho fatto altro che pensare di essere stato uno stronzo di merda.
Ho cercato di contattarvi ma non avete mai risposto alle mie lettere.
Vi ho guardato crescere da lontano, ho studiato vostri video e ho solo immaginato come poteva essere stare a casa con voi .
Ho sempre tenuto con me una vostra foto che vi ho fatto da piccole, e beh, sono tuo padre. Non ho prove materiali, ma è così.
Anche se non posso considerarmi un buon papà.-
Questa volta lo lasciai terminare,  sebbene non lo seguissi più di tanto.
C'era qualcosa nel suo discorso che aveva catturato del tutto la mia attenzione.
-Ci hai mandato delle lettere?-Domandai, confusa.
-Si. Una al giorno, per un anno. E poi per tutte le festività.-Rispose lui, con una smorfia.
-Non le hai mai lette, vero?

Io annuì, mentre mi rendevo conto che forse aveva davvero voluto cambiare.
-Le avrà prese mia madre. È davvero molto protettiva.-Risposi, desiderando con tutta me stessa di leggere quelle lettere.
Forse avrei capito di più di quella faccenda.
-Non le posso dare torto.-Replicò lui, con una scrollata di spalle.
-Già...ma come hai fatto a ritrovarmi?-Cercai di cambiare discorso, per placare un po' il battito irregolare del mio cuore.
Erano così tante le emozioni dentro di me che rischiavo seriamente impazzire.
-Ho saputo del tuo incidente alle gambe tramite i giornali.
Sai, sei la ragazza di un famoso calciatore, anche se ti scaccoli in pubblico può essere argomento di giornale. -
Rispose lui, con un sorriso quasi divertito.
Purtroppo, aveva ragione.

Continuammo a parlare per un po', fino a quando non mi sentii davvero stanca morta.

-Sono un po' stanca, credo che sia meglio che torni a casa...-Mormorai, alzandomi con fatica.
Dovevo usare le stampelle per alcuni giorni, ma era straziante.
-Va bene...ti farai sentire? Vorrei anche parlare con le tue sorelle...-
Mormorò l'uomo con esitazione.
-Si. Ti prometto che in qualche modo ci riusciremo.-
Sorrisi, e iniziai ad incamminarmi verso l'appartamento che avevamo trovato.
Avevamo evitato hotel, perché ci eravamo annoiati di passare da un albergo all'altro.

Lui mi seguì fino ad un certo punto, ma poi dopo i vari saluti, continuai da sola il tragitto.
Avevo una strana sensazione, come se ci fosse qualcosa di sbagliato.
Feci un profondo respiro e chiamai James al telefono.
Suonava a vuoto.

Con il cuore che mi batteva forte nel petto, affrettai il passo, raggiungendo in fretta la casa.

Dovevo stare calma.
Quando avrei aperto la porta, mi sarei trovata James sul divano, addormentato o assorto a guardare qualche partita di calcio.
Non ci sarebbe stato nessun problema.

Eppure, quando spalancai la porta, quasi le mie gambe cedettero di fronte all'orripilante spettacolo che mi si parava di fronte.

Nella stanza regnava il caos.
C'erano oggetti buttati a terra in mille cocci, vestiti seminati in tutta la casa, il tavolo sottosopra, le sedie distrutte, e di James, non c'era nessuna traccia.
E qualcosa mi diceva che non fosse uscito per una passeggiata al mare.
Qualcuno lo aveva rapito.

Serendipity « James Rodriguez.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora