Capitolo 14

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TREVOR

Passo dieci giorni in isolamento. Mi dicono che posso uscire, ma non ho nemmeno la forza di alzarmi in piedi.

Non ho toccato cibo e ho dormito per pochissime ore. Ho passato tutto il tempo seduto sul pavimento, con la schiena contro il muro a pensare a lei. Non esce dalla mia testa, non riesco a dimenticarla.

Sarebbe così facile se semplicemente le potessi dire addio di persona. Sarebbe così facile se non avessi il suo sorriso davanti ogni volta che chiudo gli occhi.
Sarebbe così facile se semplicemente il mio cuore decidesse di dimenticarla. Non ci riesce.

Nessuna parte del mio corpo vuole dimenticarla. Le mie mani continuano a sentire la morbidezza della sua pelle, le mie labbra continuano ad assaporare la dolcezza della sua bocca, il mio naso continua a ricordare il suo profumo, i miei occhi continuano a vedere il suo sorriso e il mio cuore continua a battere per la bellezza della sua anima.

Cammino lentamente per tornare nella mia solita cella.

La guardia mi spinge per farmi camminare più velocemente, ma non ne ho le forze. Appena mi colpisce un po' la schiena, devo poggiarmi al muro per rimanere in piedi.

"Datti una mossa, Wright. Non abbiamo tutto il giorno" continua a spronarmi.

Svolto per raggiungere il corridoio delle celle, ma mi ferma.

"Aspetta, dobbiamo passare per l'ufficio postale" mi dice.

"Perché?" chiedo.

"Perché ti è arrivato un pacco l'altro giorno, ma non te lo abbiamo dato perché eri in isolamento".

Capisco subito che è un pacco di Isabel. Mi ha mandato un libro, ne sono certo, ma stavolta non lo voglio. Non ce la faccio a leggerlo.

"Non lo voglio. Lascialo lì" dico.

La guardia si volta verso di me e alza un sopracciglio. Sa che sono sempre impaziente di ricevere i miei pacchi ed è sorpreso che per la prima volta non lo voglio.

"Non possiamo tenere la roba che ti mandano qui. Prenditelo e vattene in cella. Non me ne frega un cazzo di quello che ci fai dopo" dice, lanciandomi quel pacco contro.

Fatico ad afferrarlo. Quel libro sembra pesare come un mattone. Non so se sia per la mancanza di forze, o semplicemente perché so cosa ci sia dentro. In ogni caso devo reggerlo con due mani per non farlo cadere.

Camminiamo fino alla mia cella. Sono tutti fuori per la pausa pranzo e io so già che la salterò.

"Ascoltami, non vogliamo che un detenuto muoia di fame. A malapena ti reggi in piedi. Ora vedi quello che ti hanno mandato e poi tra mezz'ora ti vengo a prendere così ti porto in mensa, sono stato chiaro?" mi chiede.

"La pausa pranzo finisce tra dieci minuti e poi c'è l'ora d'aria" gli faccio notare.

"Vorrà dire che oggi avrai la mensa tutta per te" mi dice, sollevando le spalle. "Mi raccomando, ho detto mezz'ora" ripete per poi richiudere la mia cella.

Questo è Jeff. È la guardia che vedo più spesso. È uno stronzo, ma almeno è uno stronzo simpatico. Fa bene il suo lavoro e se ti comporti bene si affeziona a te. Sono certo che un minimo mi voglia bene. Mi prende spesso a parolacce e mi spintona, ma è quello che si è preoccupato di più quando ha visto che in questi giorni non ho mai toccato cibo.

Durante l'isolamento è passato tre volte a cercare di convincermi a mangiare, mentre gli altri si sono limitati a portare via il vassoio ancora pieno.

Ci vogliono più Jeff e meno Adam al mondo.

Tutte le notti della tua vita 2Where stories live. Discover now