Capitolo 7: Qual è il posto migliore per essere sè stessi?

31 11 14
                                    

" Per un sacco di tempo eravamo stati bravi a sognare, perchè i ragazzi di paese vedono poco e il resto se lo devono immaginare" Giacomo Mazzariol, "Gli squali" 

Il mio paese dall'alto somigliava a un fiume di case, una vicina all'altra si arrampicavano sulle rocce ai piedi delle montagne, sembravano litigare per impossessarsi di più spazio, quasi volessero scavalcarsi a vicenda. Difronte c'era il mare, una distesa di azzurro intenso, che rubava al cielo tutte le attenzioni. Da lontano si potevano scorgere piccole creste sollevarsi per poi abbassarsi con un guizzo, guidate dal vento caldo. Alle spelle del paese, le montagne si ergevano alte, con le vette a sfiorare il cielo, come guardiani, proteggevano l'abitato, circondandolo con le loro possenti braccia, gli permettevano di respirare grazie alle foreste. 

Noi abitanti ci trovavamo difronte la vastità del mare, che senza confini spronava a spingersi sempre oltre, a nuotare più lontano in quelle acque cristalline. Insegnava a non avere paura di ciò che sembra infinito, incitava a fare sempre di più, sempre meglio. Ma tutto ciò veniva poi smorzato dalle montagne, che consigliavano di mettere radici, ogni giorno più profonde, perchè si radicassero nel terreno e come ancore evitassero all'uomo di perdersi, di essere trascinato via dalla corrente. 

In bilico fra questi due mondi, mi muovevo salda al terreno, con i piedi ben piantati per terra e lo sguardo verso il mare, cercavo invano di stare in equilibrio, sospesa tra una vita sicura, abitudinaria e beata ed una caotica, avvincente ed impegnativa. 

Davanti a me c'era il futuro, rumoroso, agitato e salato proprio come il mare, dietro si nascondeva il passato, irremovibile, pesante, opprimente come le montagne. A sedici anni non sapevo dove andare, quale strada prendere e quindi mi limitavo a seguire le case, che sotto il sole caldo dell'estate mi facevano da guida, trasportandomi in una realtà che conoscevo come le mie tasche, il presente. 

Pedalavo veloce verso la spiaggia e immaginavo di abbandonare per sempre quel luogo, mi chiedevo se mi sarebbe mancato o se io in quelche modo sarei mancata a lui. Il vento mediterraneo mi sferzava il viso, levigandolo al suo tocco, le gambe andavano sempre più veloci e il cuore urlava ai polmoni che era felice, ma questi troppo intenti a riprendere fiato non lo sentivano e allora lui iniziava a cantare. Era un suono dolce quello che produceva il cuore, quando mi sentivo in pace con me stessa, una melodica leggera, che mi riempiva il corpo. 

All'improvviso sentii un fischio ed inchiodai bruscamente rischiando quasi di ribaltarmi, mi voltai e vidi Tommaso sbracciarsi, ero talmente assorta nei miei pensieri che avevo superato la sua casa senza neanche accorgermene.

- Buon giorno principessa- mi disse con il fiatone a causa della corsa fatta per raggiungermi, -hai messo il turbo oggi, eh- 

- Scusa ero sovrappensiero, non mi ero accorta di andare così veloce, Anna è arrivata?- 

- Sì, è qui, vieni, puoi lasciare la bici davanti il cancello, hai con te la catena?- 

Scesi, presi la catena e gliela sventolai davanti il naso, lui mi fece un cenno e mi aiutò a legare la bicicletta, poi entrammo.

Ho sempre amato la casa di Tommaso, perchè somigliava a un negozio di oggetti strani, uno di quelli in cui entri per semplice curiosità e poi ne esci esaltato e meravigliato. Pensai ancora una volta che se fossimo in un libro, gli oggetti prenderebbero vita e racconterebbero storie risalenti a tanti anni fa. 

Le pareti erano di un colore diverso in ogni camera, ad esempio il corridio era blu cobalto come il cielo quando si gonfia di pioggia, ovunque si potevano ammirare cimeli di famiglia: fotografie di Tommaso e i suoi fratelli da piccoli, ritratti a matita di sua mamma da giovane e da bambina, quadri raffiguranti il mare, le montagne e rappresentazioni in plastica del paese.

Ricordi a gallaWhere stories live. Discover now