"A farsi vedere troppo deboli da un amico poi ci si sente in difficoltà. Forse perchè pensiamo che il nostro dolore sia unico, improbabile, come tutto ciò che ci riguarda"
"Tre metri sopra il cielo" di Federico Moccia
Il giorno seguente e tutti gli altri a venire mi sembrarono uguali l'uno all'altro tanto che non riuscii più a distinguerli. Mamma e papà provarono a consolarmi più volte, ma con nessun risultato, non c'era niente che mi facesse alzare dal letto. Mi dissero che dovevo andare dal dottor Giubbeni, fin quando non sarebbe ricominciata la scuola, ma gli incontri andarono sempre peggio, non riuscivo a parlare, avevo perennemente un groppo in gola e tutte le volte tornavo a casa più stanca di prima.
- Rosa è caduta in depressione - disse lui a mia madre e lei pianse così forte che si sentì anche in sala d'attesa.
I miei genitori erano preoccupati per me, perchè non reagivo, non parlavo più, non ero più io. Mi sentivo terribilmente in colpa per questo, ma non potevo fare a meno di subire ogni evento della mia vita.
Una volta arrivato Settembre, non rientrai a scuola con tutti gli altri, mi permisero di restare a casa altre tre settimane, il dottore disse che prima o poi avrei dovuto affrontare ciò che stavo evitando, ma mamma e papà non avevano voluto costringermi.
Così dormii per la magior parte del tempo, era l'unica cosa che mi permettesse di non sentire più quel peso attaccato al cuore, mi aiutava a scappare dalla realtà senza rischiare di inciampare in qualche ricordo, che avrebbe causato un pianto istantaneo e prolungato.
Mi connettevo alla mia vita solo quando sentivo il telefono fisso squillare dal salotto, mi trascinavo a fatica giù dal letto, portandomi dietro lenzuale e cuscini, mi attaccavo alla porta con l'orecchio ben teso ed origliavo.
Una sola persona al mondo chiamava sul numero di casa ed era Sandra, la mamma di Tommaso.
Mia mamma correva al telefono e affannata rispondeva:
- Sandra? Sandra! Come va? Come state? Tommaso?-
Non riuscivo a sentire cosa dicesse la voce dall'altro capo del telefono, però mia mamma rispondeva sempre allo stesso modo:
- Sì, anche Rosa-
Ero l'unica che poteva capire cosa provasse Tommaso, perchè lo avevo vissuto a mia volta. La mamma una sera in cui non riuscivo a dormire mi disse:
- Lo sai cosa unisce le persone, Rosa?- non si aspettava davvero una risposta, così proseguì - Il dolore-
Ci ripensai molte volte, perchè avevo sempre sentito dire che, al contrario, le dividesse. Più passavano i giorni, più conversazioni origliavo e più mi sembrava di avere ragione: non restava più nulla ad unire me e Tommaso, quel filo che ci aveva legati fin da piccoli si era spezzato ed ora me ne restava in mano soltanto un'estremità consumata.
Non eravamo mai stati così tanto tempo senza parlarci o vederci, le poche cose che sapevo su di lui erano frammentate e confuse, mi sarebbe bastato chiedere ai miei genitori o chiamare direttamente Sandra, ma avevo paura. Ero spaventata all'idea di vedere con i miei stessi occhi il suo dolore e scoprire che il ragazzo coraggioso che mi aveva salavata, fosse in realtà molto più fragile di me.
Capii che avrei preferito prendermi tutto il suo dolore e farlo mio, se questo fosse bastato per far ricomparire le sue fossette sul volto, restituendogli così, il sorriso.
Gli avrei voluto confidare che mi sentivo ancora come in mezzo al mare, provavo a guardarmi intorno e cercare una soluzione, ma l'unica cosa che vedevo era acqua salata da tutte le parti, una distesa infinita di tutte le possibilità che avevo perso a causa di una singola azione.
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Ricordi a galla
RomanceRosa è una ragazza di 16 anni, che come ogni anno trascorrerà l'estate con i suoi amici da una vita: Anna, testarda, orgogliosa e sicura di sè e Tommaso, gentile, affettuoso, amichevole e sempre pieno di domande. Tutti e tre molto diversi, ma a tene...