CAPITOLO 13

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Buongiorno ❤️

ALESSIA

«Sono andata in panico, ricordo solo che Dylan mi ha chiamato e poi mi sono trovata sull'auto di Stefano che mi ha accompagnata a casa.»

Sono chiusa nella mia camera insieme a Federica, mio padre è arrabbiatissimo con me e mi ha messa in punizione. 

Federica mi stringe la mano.

«Sei stata sconsiderata, poteva succederti qualcosa di brutto.»

«Lo so, e poi se ci ripenso mi ha trattata malissimo in palestra.»
«Senti amica mia, da quando siamo a Roma stai facendo solo sciocchezze per quel ragazzo, torna in te e lascialo perdere.»

«Forse hai ragione...però ho paura di non riuscirci.»

«Ti piace così tanto?»

« Federica, lui è come una calamita che mi attira a sé, se dovessi pensare realmente a noi due insieme so benissimo che sarebbe la cosa più sbagliata e insensata del mondo...uffa! Non lo so, sono troppo confusa.»

DYLAN

"Andate via! Sparite dal paese!»

«Santo cielo! Lucio!» urla mia madre mentre chiama mio padre.

Qualcuno rompe i vetri delle finestre e io sto morendo di paura.

«Vostro figlio Dylan deve fare la stessa fine di Anita e quando uscirà di prigione quel bastardo di Samuele dovrà morire anche lui!»

«Dylan, vai a nasconderti, esci dalla porta sul retro e corri in garage» urla mio padre mentre prende un bastone.
«Vai!»

Mi spinge fuori dal retro, inizio a correre e piangere mentre sento le urla delle persone contro la mia famiglia.

***

«Dylan, mi senti?»

Apro le palpebre, sono nascosto sotto al camioncino di mio padre e vedo un braccio che si sporge verso di me, è un carabiniere.

«Esci da lì Dylan, sei al sicuro adesso.»

***

Spalanco gli occhi e mi alzo col busto portando la mano alla gola. Sono tutto sudato e le lenzuola sono bagnate.

Sospiro piegando il capo.

Respira Dylan, respira.

Emetto dei respiri profondi e mi alzo dal letto.

Cazzo, erano quasi due anni che non avevo più incubi, ed ora sono tornati, la colpa è di Alessia, se lei non fosse mai venuta qui il passato non sarebbe tornato prepotente nei miei pensieri.

«Dylan, la colazione è pronta.»

Sento la voce di mio padre fuori dalla mia camera.

«Arrivo, il tempo di una doccia.»

«Va bene, ti aspetto.»

Quando mio padre è sobrio non è cattivo. Mi alzo e vado sotto al getto dell'acqua fredda, piego il capo e ripenso a lei, stretta tra le mie braccia, in quel momento il mio cuore ha iniziato a battere talmente forte che avevo paura potesse uscirmi dal petto.

Quando ho sentito il seno morbido premuto contro di me, ho avuto delle strane pulsazioni. Devo assolutamente mandarla via, per il bene di entrambi.

ALESSIA

Io e Federica siamo dentro il bar di fronte alla scuola.

«Buongiorno ragazze.»

Mustafa si avvicina a noi con un sorriso smagliante.

«Buongiorno.»
«Sei andata in palestra?»

«Sì, e mi sono anche persa.»
«Come ti sei persa?»

«È stata una serata particolare.»

«Raccontami.»

Inizio a raccontargli l'accaduto e di come Dylan mi ha trattata in palestra, Mustafa non dice nulla, si limita solo a sospirare.

«Eccolo che arriva! Ma accidenti a lui! Quante ragazze lo seguono?» domanda Federica indicando verso la porta del bar.

Mi volto e lo fisso; indossa una t-shirt attillata rossa che mette in bella mostra la forma degli addominali e le braccia. Fuma una sigaretta che getta a terra prima di entrare nel bar, e dietro di lui c'è Claudia insieme ad altre quattro ragazze.

Dylan va direttamente al bancone.

«Ciao Dylan!» La barista sorride e ammicca verso di lui che le fa l'occhiolino.

«Ciao Susanna, mi prepari un cappuccino.»

«Certo.»

Subito dopo si volta nella nostra direzione, la sua espressione altezzosa e sorridente sparisce dal suo viso.

«Mustafa! Ciao!»

Alza il braccio e apre la mano, per salutare solo Mustafa.

«Vieni.»

Lo chiama.

«No, vieni tu!» ribatte Mustafa e Dylan sorride.

«Avanti, vieni a fare colazione con noi!» ribatte Dylan.

«La sto facendo con loro.»

Mustafa ci indica.

«Va bene, se vuoi fare colazione con le sfigate, prego.»

Spalanco la bocca sconvolta, fisso Federica.

«Come ci ha chiamate?»

«Fede! Non è rivolto a te ma solo a Gargamella» aggiunge Dylan facendo scoppiare a ridere tutti tranne a noi che siamo sedute.

«Buongiorno!»

Ci voltiamo verso la porta e riesco a riconoscere quel ragazzo, se non ricordo male si chiama Manuel

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