Chapter twelve

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La notte mi tormenta sempre. Le paure si insinuano sotto le coperte e mi graffiano la pelle. I ricordi si posano con me, accanto alla mia testa, sul cuscino e mi prendono per mano. Mi portano nella parte più recondita e buia della mia mente. Pensieri, frammenti di passato, momenti vissuti che vorrei cancellare dalla mia testa, ma che so già che mi marchieranno per sempre...

Si crea un casino immane nella mia mente: le parole che mi sussurrava si confondono le une sulle altre, gli ordini che mi impartiva mi arpionano il collo con una forza disumana, le richieste che io gli rivolgevo spariscono nel vento esattamente come la speranza...

E poi le mani... Avverto, ogni volta che chiudo gli occhi, il suo tocco: le sue carezze, le dita che si stringono attorno alle mie cosce, che mi palpano con irruenza. Riesco ancora a sentire il tocco rude, brutale e violento con cui mi dominava ogni volta. Il suo tocco, i suoi schiaffi, le sue prese... diventa tutto più vivido, nitido e maledettamente vero ogni volta che il sole cala e io rimango da sola nel mio letto.

Un letto in cui immagino ancora lui, la sua voce lasciviosa, i suoi occhi lussuriosi, il suo corpo troppo grande rispetto al mio... Niente mi lascia in pace. I ricordi mi tormentano in modo perpetuo e tortuoso. Mi afferrano per la gola e mi strappano il respiro. Il cuore accelera, batte all'impazzata, nascondendo la paura dietro i battiti fin troppo veloci, mentre i polmoni si bloccano. Cessano di funzionare, di incamerare ossigeno. L'aria viene sostituita dal panico, dal dolore, ma, soprattutto, dall'impotenza...

Dal rimorso.

Dalla rabbia verso me stessa per essere stata troppo debole in quel tempo in cui si stava tessendo pian piano, con accurata precisione, la tela raffigurante il peggior incubo della mia vita. Quel periodo in cui ho detto addio all'ultima vera parte di me. Quel momento in cui il mio sorriso si è spento probabilmente per sempre, i miei occhi hanno smesso di guardare il mondo allo stesso modo. Quel momento in cui ho tentato di scacciare con ogni mia arma e forza possibile ogni fragilità, ogni debolezza, ogni emozione. Quel momento in cui sono stata costretta a innalzare un muro, a cambiare me stessa, ad annientarmi pezzo dopo pezzo.

Quel momento in cui sono morta dentro, senza che nessuno potesse fare niente per impedirlo...

Mi giro e rigiro nel letto, in preda a questi pensieri. Serro gli occhi e muovo il capo da una parte all'altra. Mi schiaffeggio persino ogni minima parte del corpo in cui sento il suo tocco. Sfioro le cicatrici all'interno coscia e serro la mascella, impedendo alle lacrime di fuoriuscire. Sposto poi le dita sulla parte esterna delle cosce e infilo lì le unghie. Le affondo nella carne e cerco in ogni modo di regolarizzare il respiro. Il sangue fuoriesce, eppure non riesco a sentire alcun dolore, se non quello mentale.

Mi ferisco. Mi faccio del male per fare in modo che esca quanto più sangue possibile, in modo che il pensiero di lui e delle sue squallide mani su di me venga cancellato e sostituito all'istante. Graffio la pelle in modo instancabile e incontenibile. Provoco ulteriori segni, affiancandoli a quelli più vividi- provocati ieri notte- e a quelli ormai sbiaditi dal tempo.

Affondo la testa nel cuscino e serro gli occhi talmente intensamente da sentire male. Inspiro ed espiro profondamente. Il mio petto si alza e si abbassa con sempre più velocità, mentre il respiro viene incamerato con difficoltà. Tento quindi di tenere a bada il battito cardiaco e spingo maggiormente le unghie nella carne.

Inarco la schiena e impreco in lievi sussurri, per evitare di svegliare Charlotte, che- al contrario mio- dorme tranquillamente sul letto poco lontano dal mio.

Continuo così per secondi interminabili, forse minuti, fino a quando non riesco finalmente ad avvertire il battito cardiaco placarsi e il respiro regolarizzarsi. Mi accerto poi che i ricordi siano completamente spariti, almeno per il momento, e sposto le dita dalle cosce.

(Un)expectedWhere stories live. Discover now