1. Katharina

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Quel venerdì mattina iniziò con un sapore di chiusura, lo storico fondatore della Mayer Advertising Society andava in pensione dopo quarant'anni di duro lavoro. La società era stata una delle apripista sull'utilizzo dei social media per come lo conosciamo tutti, chiunque ripercorresse la storia delle tecniche pubblicitarie finiva inevitabilmente a nominarla, ora si apprestava a passare dalla supervisione ferrea ma benevola del padre a quella ancora sconosciuta del figlio. Per tutti i dipendenti della sede centrale, Nikolaus Pierre Mayer era solo una apparizione rara e sfuggevole che piombava nelle loro giornate e le scombussolava.

Poco prima che fossi assunta fresca di laurea, ormai quasi dieci anni fa, Jakob Mayer aveva affidato la gestione della succursale aperta da poco al figlio ormai pronto ad assumersi maggiori responsabilità all'interno della società. Non era un segreto che lui avrebbe successo il padre al vertice dell'azienda, però non mi sarei mai aspettata, all'inizio della mia carriera aziendale, che avrei lavorato così a stretto contatto con lui. Ma d'altra parte non avrei neanche mai immaginato che Jakob Mayer mi avrebbe voluta al suo fianco come sua segretaria, in realtà ero più una specie di braccio destro, ma ormai quel lungo capitolo della mia vita stava volgendo al termine e ora mi ritrovava a guardare al lunedì seguente chiedendosi cosa sarebbe cambiato.

Come suo solito, Jakob era in ufficio di prima mattina e, quando mi affacciai a salutarlo, lui mi accolse con un sorriso ampio ma un po' malinconico, come se rimpiangesse già l'andare in pensione. Non riuscivo a immaginare quell'anziano signore che era stato come un secondo padre rimanere inattivo, ero anzi pronta a scommettere che avrebbe continuato a influenzare l'azienda in maniera decisiva, sempre che il figlio glielo permettesse, non avevo idea di che tipo di rapporto ci fosse tra loro.

«Buongiorno, hai già preso il caffè?»

Dargli del tu era stata la prima cosa che mi aveva chiesto non appena mi aveva presa sotto la sua ala protettiva, era stato irremovibile e a me non era rimasto che cedere.

«Buongiorno, Katharina.» Indicò i due contenitori d'asporto che Katharina non aveva notato. «L'ho preso io per te, siedi con me mentre lo bevi, devo parlarti.»

Aggrottai la fronte, aveva il tono delle occasioni serie quindi feci come mi aveva detto e presi posto sulla poltrona in pelle fredda poggiando la borsa ai miei piedi. Lui mi passò la bevanda ancora calda, doveva esser arrivato da poco, e mi scrutò per un istante.

«Tuo padre? Sei andata da lui ieri?»

Mi domandai se fosse tutto lì quello di cui doveva parlarmi, erano domande innocue infondo e la prima in particolare me la poneva a cadenza di pochi giorni, il tono però continuava a essere quello cupo che aveva usato poco prima.

«Nessuna novità, i medici dicono che è un bene.» Io invece ero meno ottimista ma lui questo non doveva necessariamente saperlo, mi avrebbe fatto il solito discorso sull'importanza di dover essere ottimisti in questi casi. Stronzate. Mio padre aveva un cancro all'ultimo stadio, l'unica cosa che ci rimaneva da sperare era che non soffrisse troppo. Ma per rispetto a quell'anziano signore a cui ero così affezionata non avrei espresso ad alta voce nessuno di quei pensieri.

«Dovrai tenermi aggiornato sulle sue condizioni anche quando non mi vedrai tutti i giorni, va bene?»

Sorrisi di quelle parole, non giungevano inaspettate.

«Non mi sognerei mai di fare il contrario.»

«Bene.» Jakob si appoggiò all'indietro sullo schienale. «Ho una cosa da chiederti.»

«L'avevo intuito.»

Per quanto fosse un uomo molto più che capace negli affari, Jakob Mayer aveva un tatto immenso, motivo per cui di solito era ben voluto da tutti coloro che veniva a contatto. Potevano vederlo come un rivale negli affari, ma anche chi era suo concorrente lo stimava come uomo.

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