7. Nikolaus

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Avere di nuovo la famiglia al gran completo riunita nella grande casa dove io e i miei fratelli eravamo cresciuti era stato come prendere una boccata d'aria. Non mi ero permesso di pensare a quanto mi fossero mancati negli anni di lontananza da Berlino finché non ci eravamo ritrovati tutti insieme e con la consapevolezza che ero lì per restare e che non c'era nessuna valigia pronta a riportarmi lontano da loro. Mi ero goduto ogni istante di quel pranzo le cui chiacchiere si erano protratte fino alla sera tanto che mia madre aveva insistito che rimanessimo pure a cena. Quando avevamo obiettato che intendevamo andare in un locale subito dopo cena lei aveva alzato un sopracciglio lanciandoci un'occhiata scettica e ci aveva risposto:

«E quindi, poiché andate in questo locale, non cenerete?»

Al che ci eravamo visti costretti a cedere e a rimanere, resa che aveva consentito a mio padre di sottrarmi alle grinfie di mia madre e prendermi in disparte.

«Non fare lo stronzo lunedì con Katharina.» Aveva esordito scrutandomi come se stesse decidendo quale sarebbe stata la mia punizione se solo avessi osato disubbidirgli. Io, in risposta, avevo incrociato le braccia davanti al petto scoccandogli uno sguardo a metà tra l'interrogativo e lo scocciato, perché ora se ne usciva con questo discorso.

«Dico davvero, Nik, Katharina sa essere un valido elemento ma se ti poni male con lei si chiuderà a riccio e tu ti ritroverai con una persona che lavora a un quarto del potenziale.» Disse come se avessi già compiuto il misfatto e ora dovessi subirne le conseguenze, ma per come la vedevo io, un dipendente che non si impegnava al cento per cento non avrebbe ricevuto da me nessun riconoscimento e, anzi, avrei fatto di tutto per deresponsabilizzarlo. Avevo guidato con questa filosofia la succursale a Roma e i dati di crescita che ricevevo di volta in volta sulla mia scrivania rivelavano quanto quel metodo fosse efficace, d'altra parte in questo modo arrivava in alto solo chi dimostrava di essere affidabile e capace.

«Allora se non dà il massimo forse avresti dovuto prendere i dovuti provvedimenti.»

«Con me ha sempre dato il massimo.»

Chiunque avesse visto l'espressione di mio padre, avrebbe detto che c'era una specie di battaglia in corso in quel momento perché mi stava guardando con un tale cipiglio che per un momento mi chiesi se non avessi saltato una settimana, avessi già incontrato la mia nuova segretaria e non mi fossi effettivamente comportato da stronzo. Quella possibilità però non era plausibile e quindi allargai le braccia in un gesto esasperato prima di chiedere:

«E allora cosa vuoi da me?»

«Nulla.» Rispose impassibile e forse un po' divertito da quella situazione.

«Bene, perché sembrava un rimprovero in piena regola.»

«Piuttosto una raccomandazione.» Fece un gesto vago con la mano come per chiudere il discorso ma poi aggiunse: «Inizia male con lei e saprà ripagarti a dovere.»

Da come ne stava parlando sembrava che si riferisse a una forza della natura talmente potente da piegare qualsiasi volontà alla sua, un uragano insomma. Per un momento mi tornò in mente la ragazza con cui mi ero scontrato quella mattina, per quel che avevo visto aveva lo stesso tipo di temperamento impetuoso che mio padre stava attribuendo alla sua segretaria.

«In bene o in male?»

Ero testardo ai limiti del tollerabile, quindi non potevo lasciare l'ultima parola a mio padre, ma lui si limitò a rilasciare un'ultima sentenza e poi giudicò concluso il discorso.

«Scegli tu, Katharina Werner sa essere molte cose.»

Arlette aveva confermato nel pomeriggio la sua partecipazione all'uscita di quella sera, così quando partimmo da casa dei nostri genitori io feci una piccola deviazione per andarla a prendere.

Arlette aveva sempre avuto buon gusto nel vestire, aveva un'abilità innata nello scegliere le cose da indossare più adatte al suo fisico riuscendo a dare una sensazione di eleganza anche a un semplice abbinamento di jeans e camicetta, quella sera però aveva scelto di osare un po' più del solito vestendo un tubino che le arrivava a mezza coscia e che le stava benissimo.

«L'hai messo apposta per tentarmi, vero?» La salutai dandole un bacio sulla guancia, lei si aprì in un sorriso malizioso e gli occhi le scintillarono dello stesso sentimento.

«No, voglio che tu me lo levi di dosso stanotte.»

«Come madamigella desidera.» Ribattei ridacchiando con lei ma pregustando quello che la note avrebbe portato.

La discoteca era già gremita quando entrammo e pensai che trovare i miei fratelli sarebbe stato più difficile del previsto se non avessi avuto la fortuna di aver un tavolo a nostra disposizione. Abel e Marika erano già seduti comodamente sui divanetti ma di Tristan e Meredith neanche l'ombra. Quando chiesi dove fossero, Marika, urlando per farsi sentire sopra la musica, mi rispose che stavano tentando di aggiudicarsi qualcosa da bene sfidando la folla più densa vicino al bar. Risi sentendo quelle frasi così ironiche ma non feci in tempo a ribattere nulla che Arlette mi precedette.

«Allora andiamo anche noi a contenderci un posto nella calca, vediamo se riusciamo a tornare con più di un drink.»

Sottinteso, voleva prendere da bere anche lei.

Ci mettemmo quasi dieci minuti a trovare mio fratello e la sua ragazza, Meredith stava facendo da spettatrice a quella che sembrava un'accesa discussione con protagonista mio fratello e una ragazza che riuscivo a intravedere solo in parte poiché coperta dalla figura ben più alta e piazzata di Tristan. Indirizzai verso di Meredith uno sguardo interrogativo per sapere se dovessi intervenire e, vedendo il suo esasperato e un po' infastidito, mi affrettai a richiamare la sua attenzione.

«Tristan, ti stavamo cercando.»

Lui, richiamato dalla mia voce, si voltò verso di me e quei pochi istanti di distrazione in cui lui mi fece un cenno di saluto permisero alla ragazza di dileguarsi tra la gente tanto che quando mio fratello tornò a concentrarsi su di lei non trovò altro che il vuoto.

«Credo che quello sia il tuo.» Gli disse Meredith indicando quella che sembrava una Piña Colada poggiata sul bancone. Tristan la prese senza smettere lo sguardo contrariato che aveva avuto fino a quel momento e poi tornammo al tavolo, non prima però che anche Arlette avesse ordinato e ottenuto il suo tanto agognato cocktail.

Abel e Marika, che in nostra assenza non si erano mossi dal tavolo ma si erano di certo dati da fare poiché erano scarmigliati e sfatti, ci accolsero come due adolescenti riceverebbero il genitore che irrompe in camera convinto di interrompere qualcosa di apparentemente disdicevole tra due ragazzi.

«Pensavamo aveste deciso di gettarvi nella mischia.» Abel provò a rimettere in ordine i suoi capelli provando a riavviarli con l'ausilio delle dita, Marika invece aveva un timido strato di rossore, appena visibile a causa delle luci, sulle guance.

«Se vuoi rimanere ancora solo con tua moglie, basta dirlo e ce ne andiamo, o se preferisci posso prenotarti una suite reale in qualche lussuoso albergo dove sarete serviti e riveriti e potrete godere in pace della compagnia reciproca.» Lo punzecchiai a voce talmente alta che venni udito da tutti e cinque, Abel risposte con un gestaccio e noi, Marika compresa, scoppiammo a ridere di gusto.

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Altro capitolo dal pov di Nik, che ne pensate? Secondo voi come sarà il primo incontro "ufficiale" con Kat?

Noi ci vediamo sabato qui con il nuovo capitolo.

Giorgia

Armonia di sogni e speranzeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora