16. Katharina

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Il motivo che mi aveva spinto a raggiungere i colleghi che si stavano occupando di definire le grafiche per la campagna del Dark Matter si rivelò essere una sciocchezza, un semplice dibattito a cui serviva solo un arbitro che sancisse la vittoria da una parte all'altra. Nonostante il malumore con cui avevo cominciato la giornata, quella buffa parentesi ebbe il potere di riportare quella scintilla di sole di cui avevo così tanto bisogno, sapevo che anche Nikolas l'aveva notato, così come io avevo visto quante volte fosse stato sul punto di chiedere qualcosa, forse era curioso di sapere cosa ieri mi aveva fatto fuggire dell'ufficio, ma infine aveva sempre desistito.

Quando risalii di nuovo al piano era passata quasi un'ora e trovai Nikolaus immerso nelle battute finali di una telefonata. Ipotizzai che avesse camminato lungo tutto l'ufficio perché, a differenza di come l'avevo lasciato, era in piedi accanto alla scrivania, una mano infilata nella tasca dei pantaloni neri e le maniche della camicia arrotolati in maniera disordinata sugli avambracci.

Mi fermai sulla soglia per non rischiare di far rumore e disturbare quindi la chiamata in atto ma, qualche istante dopo, questa si concluse.

«Già di ritorno?» Sorridendo, Nikolaus si appoggiò con il fianco alla scrivania e mi guardò con gli occhi verdi scintillanti di un'innocente malizia, come se sapesse qualcosa di cui io invece non ero a conoscenza.

«Alla fine era una cosa da nulla.» Mi strinsi nelle spalle ricambiando l'allegria.

«Ah sì?» Quasi sovrappensiero, si strofinò il mento glabro, gli occhi però non persero la loro sfumatura divertita.

Annuii prima di spiegare: «La pietra dello scandalo era quale palette utilizzare.»

«Sul bianco?» Aggrottò la fronte come se all'improvviso si fosse trovato davanti un rompicapo di cui non trovava la soluzione. Lui, come Jakob, aveva una formazione più improntata sul lato finanziario quindi, quando davo per scontate cose che per me erano invece quasi basilari, si trovava spaesato. Peccato che Jakob non nascondesse quando aveva davanti cose di cui non sapeva abbastanza, Nikolaus invece, per quel che avevo visto, era un'orgogliosa testa calda e piuttosto che ammettere una sua lacuna si lanciava a capofitto in una discussione senza né arte né parte. Se invece quella lacuna si manifestava in momento più distesi come quello, non cercava il dibattito ma tendeva comunque a non farsi prendere troppo in castagna, come se da quella lacuna potesse scaturire una qualche apocalisse.

«Beh, è un colore particolare su cui basarsi ma non limitante, alcuni accostamenti sono da evitare ma giocare con i colori chiari, ad esempio, potrebbe fare al caso nostro perché... sto parlando troppo, vero?»

Ero capace di continuare a parlare di colori e altre cose inerenti alla grafica per ore, ma per chi non ne era appassionato poteva essere un argomento oltremodo noioso.

«No, in realtà è interessante ascoltarti parlare di queste cose, ti si illumina il viso e oggi ancora non mi avevi fatto vedere quell'espressione.» Ribatté con voce gentile, il calore salì improvviso alle mie guance e io pregai invano di non essere arrossita.

«Staremmo qui solo a perdere tempo e non credo che il lavoro si farà da solo.» Cercai di liquidare quell'argomento così imbarazzante con quelle poche parole e scivolai di nuovo sulla seduta della poltrona. Non sapevo affrontare i complimenti, era un mio punto debole e quell'invito espresso quasi come se lo elargisse tutti i giorni sembrava proprio esserlo.

«Direi allora che ti dovrò offrire qualcosa quando stacchiamo.» Anche lui riprese il posto che aveva occupato per tutta la mattina mentre ci occupavamo in sinergia delle incombenze sulla scrivania.

«Non posso.» Pronuncia quasi in automatico prima di mordermi il labbro inferiore. Era la seconda volta che rifiutavo quel tipo di invito e non fornivo nessuna spiegazione. Non era necessario che ne dessi una ma stavolta mi sentii in colpa.

Armonia di sogni e speranzeWhere stories live. Discover now