13. Nikolaus

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Continuavo a pensare che la mia segretaria fosse un tipino interessante e sorprendente, mi aveva sorpreso alla riunione tirando fuori un paio di idee che a Tristan e al suo staff erano piaciute subito e su cui poi avevamo incentrato tutto il piano. La riunione era stata lunga e si era protratta fino a ridosso della pausa pranzo, quando, dopo aver salutato mio fratello, mi volsi verso di lei e domandai:

«Vogliamo andare anche noi?»

«Vado a prendere la borsa e riscendo.» Accompagnò le parole con un cenno d'assenso e sparì dietro le porte dell'ascensore. Cominciavo ad apprezzare il carattere spumeggiante che non si sforzava per nulla di nascondere ma che alla fine stava portando a più risultati concreti di quanto mi aspettassi dopo quel disastroso primo incontro. E anche dopo il secondo, a dir il vero.

La figura di lei riapparve qualche minuto dopo, l'indumento prima mancante ora pendeva leggera al suo fianco e io mi presi quei secondi per osservarla bene. Non era alta, ma alla fine l'impressione generale si poteva ricondurre a un qualcosa di slanciato, raffinato ed elegante.

«Allora, mi dica, quali differenze trova tra me e mio padre?» Cominciai non appena ci sedemmo al tavolo che ci indicarono e la pizza ci venne servita. Fino a quel momento avevamo tenuto in piedi la conversazione con piccoli argomenti, senza toccare nulla di davvero importante ma, ora che avevamo davanti ognuno la propria pizza, la conversazione era destinata a spostarsi su lidi più seri.

Ma l'unica cosa che mi rispose fu il silenzio. Almeno per i primi istanti, poi la donna davanti a me si scosse e pronunciò un un'unica frase.

«Non saprei da dove cominciare.»

Indugiai per un momento sul suo volto alla ricerca di un qualcosa che svelasse che l'esitazione di cui ero testimone fosse artificiosa, invece sembrava davvero sincera.

«Dica la prima cosa le viene in mente.» La incalzai, ma di nuovo non ricevetti nessuna risposa concreta così dissi ancora, stavolta in un tono più dolce: «Sta pensando troppo.»

«Ci davamo del tu.» Esclamò lei di getto, quella doveva essere la prima cosa che le fosse passato per la mente e io quasi sorrisi per quella replica così genuina.

«Allora lo dia anche a me.» Mi appoggiai all'indietro verso lo schienale della sedia, il piatto davanti a me quasi vuoto mentre il suo era quasi intonso.

«Solo se lei fa lo stesso.» Fu la replica istantanea che ricevetti mentre si portava alla bocca il bicchiere colmo d'acqua.

«Andata.»

Poi il silenzio tornò a far da padrone in quella conversazione mentre Katharina si rigirava il bicchiere tra le mani, non sembrava intenzionata ad aggiungere altro e mi domandai se avesse davvero intenzione di avere quel confronto. Eppure mi era sembrata ben disposta, rifiuto iniziale a parte, e a posteriori potevo capire il motivo che l'aveva mossa, anche se non lo condividevo, per quel che m'importava, poteva esserci una semplice amicizia tra un superiore e un sottoposto, o anche qualcosa di più, a patto di non inficiare le prestazioni lavorative.

«Tutto qui? Ho notato come mi passi solo le cose definitive.» Incalzai ancora procedendo alla cieca, a Roma avevo delle persone che odiavano prendersi i meriti che gli spettavano quando facevano un passo in più del dovuto, per quel che ne sapevo anche Katharina Werner poteva avere quel tratto caratteriale e, udendo quella mia affermazione, si sarebbe infastidita o imbarazzata.

«Ah quello.» Pronunciò brevemente in tono pragmatico ma non infastidito. «Vuole... vuoi che cambi il mio metodo?»

«Mio padre ti lasciava fare indisturbata, non vedo perché io non dovrei, almeno finché i risultati sono quelli di questi giorni.»

Armonia di sogni e speranzeWhere stories live. Discover now