Incroci

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Anni prima, quando Greta gli aveva chiesto di scappare per sempre da Urbana, John non ci aveva pensato due volte e aveva rubato l'auto di suo padre.

Quell'idiota lasciava sempre le chiavi in giro, si sbronzava e il mattino dopo passava ore a cercarle, così quella sera era rientrato in casa, aveva preso le chiavi della Chevy Nova malandata di Doug Chapman ed era scappato via.

Era l'85, e sembrava che tutta la musica più bella di sempre fosse già uscita l'anno prima, lasciando i punk senza una vera direzione da prendere se non seguire le tracce lasciate dai loro predecessori. Nonostante ciò, John reputava l'85 un anno fortunato.

Quella sera lui e Greta avevano girato per i campi desolati del Midwest per tutta la notte, lei con una sigaretta tra le labbra e la testa fuori dal finestrino, i capelli blu cortissimi smossi dal vento. John si girava a guardarla e sentiva il cuore piombargli nello stomaco ogni volta. Così avevano passato tutto il tempo del viaggio a cantare a squarciagola nella notte le canzoni da un mixtape fatto da John, un mix di canzoni di D.I., Black Flag e Subhumans, imitando l'accento britannico di questi ultimi e cercando di non ridere, dimenandosi durante le strumentali e le parti più assordanti. Alla fine si erano fermati accanto a un campo di grano, avevano accostato e si erano stesi sul cofano dell'auto a guardare il cielo notturno. La puzza di concime dei campi non rendeva il tutto così romantico.

«Perché vuoi scappare da Urbana?» aveva chiesto all'improvviso John. L'altra aveva alzato le spalle.

«Ho la sensazione che starei meglio ovunque tranne che qui.»

John si era spostato i capelli dalla faccia, che in quel periodo lasciava crescere finché non diventavano un cespuglio ingestibile, che puntualmente gli guadagnava schiaffi e ramanzine dai suoi, e aveva guardato Greta per un po'. I suoi, di capelli, gli erano sembrati dello stesso colore del cielo in autunno, un blu opaco e scuro capace di risucchiare tutta la luce attorno a lei.

«È colpa mia?» aveva domandato poi. «Se non ti piaccio più dillo e basta.»

«Quello che provo per te non c'entra niente. Altrimenti non ti avrei chiesto di scappare con me

Silenzio.

«Devo restituire l'auto a mio padre. Chi lo sente sennò.»

«Bella scusa,» aveva sputato Greta. «Tu lo odi, tuo padre.»

«È vero,» si era limitato a constatare John. «Però non me la sento di andarmene per sempre da qui. Per le band, e tutto il resto. I miei amici. Insomma, cose del genere. Sono sicuro che anche tu la pensi allo stesso modo, ma non vuoi ammetterlo.»

«Tu non sai niente di quello che penso io.»

Avevano passato un sacco di tempo in silenzio e alla fine Greta gli aveva preso la mano.

«Io ci provo, a capirti,» John aveva risposto solo in quel momento. «Ma è... cazzo, è difficile.»

Greta aveva guardato il cielo per un po', senza lasciargli la mano. A un certo punto nella sua vita, ne era sicura, qualcosa dentro di sé era andato storto, ma non capiva cosa.

«Quello che provo, John...» aveva iniziato Greta, con cautela. Girando attorno all'argomento come sempre, perché sé stessa era qualcosa che non avrebbe mai capito a pieno. «Non lo so, mi sembra sempre che sia troppo rispetto agli altri. Ho troppa felicità, troppa rabbia, troppo odio dentro di me. Di solito spingo tutto a fondo, ignoro la cosa, e dopo un po' riesco a distrarmi. Tutto finisce seppellito dentro di me. Ma a quel punto è ancora peggio, mi sembra come se tutto perdesse di valore, tutto intorno a me diventa grigio e bruttissimo. Tutto ciò che ho intorno non fa altro che provocarmi apatia, così le emozioni si accumulano in silenzio fin quando non riesco più a trattenerle e tutto esplode. E poi il ciclo ricomincia da capo.»

UrbanaWhere stories live. Discover now