Un nuovo mezzo artistico

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PARTE I

Giugno 1991

All I can say is that my life is pretty plain
I like watching the puddles gather rain...
– No Rain, Blind Melon



Jason cammina in punta di piedi sull'asfalto, assorto, mentre stringe un barattolo di pittura rossa tra le mani. Alle sue spalle c'è il garage di casa con la saracinesca alzata, che dall'inizio dell'estate è diventato una sorta di studio personale. Continua a camminare finché non si ritrova davanti a un'enorme tela stesa a terra. Si sporge appena su di essa, aumentando la presa sul barattolo che sta trasportando in giro da almeno mezz'ora.

Uno, due, tre. Jason inspira e conta mentalmente, muovendo appena le labbra dalle quali però non esce alcun suono. Ancora niente. Cazzo.

Quattro, cinque, sei. A questo punto dovrebbe avere almeno qualche vaga idea su cosa dipingere e soprattutto come farlo. Stringe la presa sul barattolo.

Sette, otto, nove. Chi ha bisogno di un pennello quando hai le dita, si era detto. Jason stringe gli occhi, ma ancora la tela non gli sembra nient'altro che un enorme quadrato, vuoto e opprimente allo stesso tempo. Eppure il documentario che aveva visto in TV spiegava che un vero artista sa già in anticipo cosa dipingerà. Come una sorta di visione.

Un vero artista possiede uno sguardo speciale, un talento innato che è possibile affinare dopo anni di pratica...

Dieci. Con un sospiro frustrato, Jason scaraventa il barattolo di pittura sulla tela. Il rosso scarlatto la invade, risucchia il bianco, poi cola dagli angoli e inizia a gocciolare sull'asfalto grigio.

Più che un'opera d'arte sembra il luogo di un delitto.

Jason Pratt sospira e si siede per terra. Si macchia i pantaloncini di pittura rossa e si mette a imprecare.

Ricorda ancora alla perfezione le parole del narratore di quel documentario: L'artista è un veggente. L'artista trova nel vuoto di una tela conforto assoluto.

Cazzate. Guardando quella tela, l'unica cosa che Jason prova è l'ansia della perfezione. La stessa cosa che ha provato durante gli anni di scuola, e che finalmente pensava di essersi lasciato alle spalle; la stessa cosa che prova in mezzo alla gente, con i coetanei e con i suoi genitori. Tutto quello che l'arte come mezzo di espressione dovrebbe fargli dimenticare.

Stringendo appena i pugni, avvicina le ginocchia al petto e fissa un punto imprecisato davanti a sé, scoraggiato. Disegna fumetti e scarabocchi di ogni tipo da quando ha memoria, e negli ultimi tempi i suoi lo avevano incoraggiato a trovare una valvola di sfogo, qualcosa che tenesse a bada il suo spirito da adolescente angosciato, risvegliato forse dalla scelta – fin troppo avventata, secondo loro – di non andare al college.

Proprio durante quel periodo aveva trovato per caso un documentario sugli artisti più famosi della storia e i loro metodi di lavoro. Così aveva pensato che buttarsi sulla pittura e sull'arte visiva avrebbe aiutato.

In realtà, la cosa lo sta solo facendo incazzare ancora di più.

Con un sospiro rassegnato raccoglie il barattolo da terra e va a posarlo nell'armadietto del garage. A distrarlo dal suo fallimento come pittore ci pensa l'orologio appeso lì accanto, uno di quelli a forma di gatto con tanto di inquietanti occhietti che si spostano a destra e a sinistra: proprio in quel momento scattano le cinque del pomeriggio. L'estate è appena iniziata e già sembra impaziente di terminare.

Jason esce di nuovo dal garage, si avvicina al marciapiedi, furtivo, e sposta lo sguardo verso il palazzo dove da un po' di tempo a questa parte abita John.

UrbanaWhere stories live. Discover now