Un posto sicuro

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Le cose non vanno mai per il verso giusto, se la prima persona a cui si pensa la mattina è Jason Pratt. Di questo, Simon è più che sicuro.

Saranno dieci minuti buoni, ormai, che è lì. Va avanti e indietro davanti al telefono in cucina, nervoso. Come se avesse un pubblico di spettatori dietro di lui che continua a osservare ogni sua mossa.

Il suo problema non è essere quello che telefona per primo, quindi mostrarsi in un certo senso debole. Insomma, non sei quello a cui arriva la telefonata ed è costretto a rispondere, sei quello che telefona e la cosa ti pone in automatico in una posizione subordinata. Nonostante l'abbia pensata più volte in questi termini, la cosa che lo infastidisce davvero è l'attesa. Dover aspettare che quello scemo di Jason vada a rispondere al telefono, perché sarà sicuramente impegnato a scrivere canzoni punk o altre cazzate del genere.

Dopo altri interminabili minuti di esitazione Simon si riscuote e, e con mano quasi tremante per l'imbarazzo, compone il numero di casa Pratt. A un paio di quartieri di distanza, Jason corre in salotto a rispondere al telefono, seguendo i rimproveri di sua madre, convinta che sia come al solito quel tizio poco raccomandabile che suona nella band con suo figlio, che chiama da qualche cabina telefonica per annunciare un ritardo nelle prove o cose del genere.

Così Jason va a rispondere con aria svogliata, e si ritrova quasi a ingoiare la gomma che sta masticando quando si rende conto che dall'altro capo del telefono si trova nient'altro che Simon Becker.

«Per caso c'è John da te?» tenta lo skater.

«No, oggi le prove sono rimandate a più tardi. Sarà da qualche parte ad affogare la sua depressione post-Greta. Perché?»

«No, niente,» Simon esita per un po'. «Beh, comunque, stavo pensando,» riprende il discorso, il filo attorcigliato a un dito mentre tiene lo sguardo basso, in imbarazzo per il silenzio tombale dall'altro lato del telefono. «Stavo per uscire a fare skate, ma non... fa troppo caldo.»

«Caldo?» Jason guarda fuori alla finestra, vede un leggero vento che agita le fronde degli alberi. «Ne sei sicuro?»

«Sì,» conferma l'altro, imbarazzato. «Volevo guardare un po' di TV mentre aspetto che fa più fresco e... che ne so, mi chiedevo se ti andasse di passare di qua.»

Seguono momenti di assoluto silenzio in cui Simon crede quasi che Jason gli abbia chiuso il telefono in faccia, ma in realtà l'altro sta soltanto faticando a processare la cosa.

«Passo volentieri,» risponde Jason dopo un po', e Simon non riesce a trattenere un sorriso.

«Ti aspetto, allora,» esclama. Poi, dopo aver ripreso la compostezza, aggiunge: «Cioè... passa quando ti pare».

Un quarto d'ora dopo, fingendo la più assoluta disinvoltura, Jason è già davanti alla porta. Simon lo fa entrare accogliendolo con un mezzo sorriso. Non appena si chiude la porta alle spalle, Jason si ritrova davanti una boccetta trasparente piena d'erba, adagiata su un pezzetto di carta da cucina.

«Quindi volevi solo una persona con cui fumare?» scherza lui. «A questo punto potevi chiedere a Val.»

«Mia sorella non fuma,» ribatte secco l'altro, con una nota di fastidio: ormai Jason ha imparato a ignorare le reazioni infastidite di Simon non appena nomina la sorellina.

«Come no.»

«E poi non è in casa, è da quel disagiato del suo amico... ragazzo... o quello che è. Quello con i capelli verdi.»

Jason rabbrividisce per quell'informazione che avrebbe preferito non ricevere. La relazione tra Val e Dex sembra rafforzarsi ogni giorno che passa, in modo piuttosto imprevedibile, date le differenze abissali tra i due; sia lui che John sono d'accordo che non ne uscirà niente di buono da quella situazione. Da quel che ne sa sono solo amici, e John non perde occasione per ricordare all'ex compagno di band di non azzardarsi ad andare oltre. Per la sanità mentale di tutti e soprattutto della band, Jason spera con tutto sé stesso che le cose rimangano così.

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