21. Salvataggi.

392 50 36
                                    

Mi strinsi nella mia giacca, sentendo il vento di New York diventare più freddo, portai una mano alla testa, notando una ferita e un pò di sangue.

Ero ancora sul marciapiede, per terra.

La sera la città si spegneva, le persone restavano in casa, magari davanti al camino con la loro famiglia o a guardare la televisione.

Ero piuttosto sorpresa di vedere dal vivo uno di quei cinque ragazzi, ed ero piuttosto confusa.

Perché era venuto a salvarmi? Io non ero una grande causa come salvare la città da un pazzo psicopatico che voleva uccidere tutti e governare il mondo.

Lo guardavo nella sua tuta viola e rossa, ancora un po' stordita, mentre la testa girava.

Non capivo nemmeno chi era in testa nella rissa, fin quando due figure nere si allontanarono correndo e una figura viola venne verso di me.

"Vieni, ti porto a casa." Il ragazzo mi fece alzare da terra sostenendomi con le sue mani.

Mi lamentai per il dolore alla testa, lui mi guardò come se aspettassi che dicessi qualcosa. Portai una mano sulla mia testa per cercare di fermare il dolore mentre le mani del ragazzo erano salde su di me per sostenermi.

"La testa" iniziai "fa male." Lui annuì prendendomi in braccio e portandomi fino a casa, che non era molto lontano da lì. Mise una mano sotto le mie gambe e una sulla mia schiena per reggermi mentre io appoggiai la mia testa su di lui mentre con una mano cercavo di tamponare la ferita.

Se fossi stata più lucida avrei sicuramente investigato cercando di stare attenta ai minimi dettagli per scoprire l'identità del ragazzo.

Affondai la mia testa sul suo petto mentre lui reggeva le mie gambe e le spalle con le sue braccia forti. Chiusi gli occhi, cercando di non pensare al dolore. Corrugai la fronte e feci un profondo respiro sentendo il buon profumo del mio salvatore.

Piano piano iniziava a passare, non pensavo avessi bisogno di punti o di andare all'ospedale.

Il ragazzo si fermò davanti casa mia, prese le mie chiavi e entrò poggiandomi a terra.

La domanda che mi ronzava nella testa era una, come faceva a sapere il mio indirizzo? D'accordo che non ero perfettamente lucida, ma ai piccoli dettagli facevo lo stesso caso.

"Dove tieni le medicine?" Quella voce era familiare, ma non mi veniva in mente nessuna persona che la possedeva. Eravamo entrambi fermi all'ingresso di casa, dove già si sentiva il calore che emanava il riscaldamento acceso.

"In bagno." Indicai con la mano una stanza.

Lui tornò con una scatoletta del pronto soccorso. Mi prese per i fianchi facendomi sedere sul bancone così da potermi curare meglio. Aveva una maschera indosso, come sempre e io non riuscivo a guardarlo in faccia, notavo solo che anche se indossava una maschera non passava inosservato il suo sguardo serio e professionale.

Eravamo entrambi in silenzio eppure io avevo così tante domande da fargli. Del tipo come faceva a sapere dov'ero, o come sapeva il mio indirizzo.

Lui tamponava con del cotone la mia ferita mentre io stringevo il mio labbro fra i denti per non urlare e piangere dal dolore. I suoi movimenti erano delicati, e trasmettevano tranquillità e protezione.

"Grazie." Parlai non staccando gli occhi da lui anche se non mi stava guardando.

"È mio dovere aiutare le persone." Forse non voleva darmi tanta confidenza, non lo biasimavo. Un segreto si doveva tenere nel migliore dei modi.

"Come facevi a sapere dov'ero?" Chiesi titubante.

"Fortuna, passavo di lì, e ti ho vista." Lui buttò il cotone nella pattumiera e prese altri medicinali dal kit. Cose che non avevo mai visto.

Superhero [h.s.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora