Capitolo 1: Uragani non previsti

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Adorava perdersi tra i propri pensieri, ascoltarli tutti, uno per uno, dando importanza a ciascuno di essi. Gli capitava spesso, la maggior parte delle volte senza nemmeno rendersene conto, soprattutto se alle orecchie aveva le sue tanto amate cuffie.

Era immerso nel suo mondo, tanto che quasi non si accorse di essere arrivato davanti al portone di casa. Che bella figura, davanti alla vecchietta, nonché vicina di casa - che passava le sue giornate affacciata al balcone - tirare dritto per poi ritornare indietro, come un idiota. Soffocò una risata, poiché decise che con la sua risata squillante, era meglio non lasciarsi andare del tutto. Suonò al campanello di casa, e non appena il portone principale si aprì, salì le scale correndo.

Arrivò alle spalle di sua madre, intenta a guardare il contenuto di una pentola come se fosse la cosa più interessante del mondo e sorridendo, la abbracciò.

"Asher, tesoro, com'è andata oggi?"

"Benissimo, tu come stai?"

"Sto bene. Va a lavarti le mani, il pranzo è quasi pronto," loinformò, sorridendogli in modo dolcissimo.

Asher roteò gli occhi, stufo di essere trattato ancora come un bambino dall'adorabile donna, ma in fondo, in fondo, gli dispiaceva poco.

Pranzò, ma per tutta la durata del pasto fu presente solo fisicamente, poiché impegnato a pensare alle interrogazioni da togliere nelle prossime settimane, cercando di non farsi prendere dall'ansia. Non fece caso nemmeno al fatto che sua madre era più silenziosa del solito.

Finito di mangiare, aiutò la donna a sistemare, poi si chiuse in camera,non proprio pronto a lunghe ore di studio. Dopotutto, era al quarto anno e ciò non gli consentiva il lusso di oziare.

Uscì tre interminabili ore dopo, solo per prepararsi del tea. Lo adorava, tanto che a casa Sanderson se ne trovava di tutti i gusti: all'arancia, alla pesca, classico, nero, verde e tanti altri.

Si sedette, appoggiando la tazza fumante sulla superficie legnosa del tavolo, versandoci il latte e due cucchiaini di zucchero, aspettando poi che si raffreddasse un pochino.

Nel frattempo controllò i vari social ai quali era registrato. Il suo preferito era Twitter, ne era fissato, riusciva a dargli informazioni su ciò che succedeva nel mondo, e al tempo stesso, gli offriva i migliori scleri dei fandom dei quali faceva parte anche lui.

Alzò lo sguardo dallo smartphone solo un attimo, venendo investito dal muro di silenzio atipico in quella casa.

Solo allora vide suo fratello, appoggiato con una spalla alla parete, intento a fissarlo. Il suo cuore si fermò, per un momento. Non gli sorrise, né gli rivolse qualche parola in più se non un mero "Ciao", invece si limitò a mettere il telefono in tasca e afferrando la tazza, ritornò in camera propria.

Chiuse la porta, assumendo un'espressione sconcertata e incredula. Non vedeva Cole da ben tre anni, mai una chiamata, mai un sms, nulla. Era venuto a conoscenza del fatto che fosse ritornato altre volte, ma guardacaso, era sempre una mattina settimanale. E lui era a scuola.

Ma soprattutto, perché nessuno lo aveva avvisato?! D'accordo, magari l'argomento "Cole" era stato un taboo tra quelle mura imposto silenziosamente, ma non aveva senso visto che quando era tornato a fare visita ai loro genitori, questi ultimi lo avevano accolto a braccia aperte.

Come se non fosse successo nulla.

Asher scosse la testa.

Perché aveva deciso di rifarsi vivo anche alla persona che più odiava al mondo?

                                                                                ๗•๗

La cucina non era mai stata tanto silenziosa come in quel momento, si sentiva solo il rumore delle posate sui piatti, e la televisione in sottofondo.

Asher, seduto tra la madre e il padre, in posizione opposta rispetto a Cole, aveva lo sguardo fisso sulle proprie mani, ed era sicuro che il motivo di tutto quel non-chiacchierare era proprio lui. Perché, a rigor di logica, se i loro precedenti incontri erano andati tutti così, Cole non si sarebbe fatto rivedere mai più.

Virginie, sua madre, si asciugò le labbra con il tovagliolo, prima di riportarlo sulle gambe - era esageratamente fissata con il galateo -e solo dopo iniziò a parlare.

"Asher, c'è qualcosa che dobbiamo dirti."

Il ragazzo, sentendo nominare il proprio nome, alzò la testa verso la propria interlocutrice, ma il modo in cui suo padre distolse lo sguardo non gli sfuggì.

"Ecco, l'importante è non preoccuparti, okay? Non cambierà nulla." Un sorriso velato e triste allo stesso tempo si dipinse sulle sue labbra.

Asher sentì il proprio ritmo cardiaco accelerare, iniziando a preoccuparsi.

"Mamma, che succede?"

"Ho fatto delle visite mediche, qualche mese fa. C'erano dei valori che non convincevano i medici, così ho fatto visite più approfondite e... Ho il tumore allo stomaco, Asher."

Asher rimase pietrificato. Era uno scherzo, vero? Però sua madre non avrebbe mai scherzato su una cosa del genere.

Balbettando, parlò:

"N-non c'è niente che si p-possa fare?" Chiese con un filo di voce, un macigno a schiacciargli la gola, e soprattutto il cuore.

Conosceva le cure per quel tipo di malattia, le aveva anche studiate per un'interrogazione, ma al momento il suo cervello era andato in blackout, e non aveva nemmeno ancora compreso bene la situazione.

"Tuo padre si è informato, dicono ci sia una clinica specializzata con cure all'avanguardia in America, e sai quant'è lontano."

"Ma ci andrai, vero?" Domandò, speranzoso.

Non riusciva più nemmeno a vederla, a causa delle lacrime che stavano iniziando a raccogliersi, pesando sempre di più.

"Sì. Il problema è che..." Prese un respiro profondo, prima di continuare: "La cura che dovrei seguire è molto lunga, e in base ai risultati ottenuti, potrebbe andare avanti per molto più tempo di quello previsto. Possono essere sei mesi, come può essere un anno e mezzo. E non posso lasciarti qui da solo per tutto questo tempo, anche se ci sono i nonni, sono comunque persone d'altri tempi. Quindi Cole si è offerto di ospitarti e sarei molto felice se tu accettassi."

Altrimenti? Non sarebbero partiti?

Tutto questo non stava accadendo veramente, era solo un brutto sogno, presto si sarebbe svegliato e sarebbe svanito tutto, no?

Ashersi alzò, lo stomaco troppo sotto sopra, ignorando la carezza di conforto della donna, che non appena lo vide correre via, gli urlò di fermarsi.

Scappò in bagno, dove rigettò anche l'anima, mentre le lacrime continuavano a rigargli le guance.


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