Capitolo 13: So, what now?

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"E quindi alla fine il protagonista viene ucciso da..."
Asher smise di ascoltare Ariel nello stesso momento in cui incrociò con lo sguardo un'auto a lui più che familiare.
E sì, c'era anche il proprietario, appoggiato a questa, con le braccia conserte, a guardare verso il cancello della scuola.
Inutile dire che il suo cuore iniziò a battere all'impazzata, stretto in una morsa letale.
Asher sapeva cosa provasse Alexander, gliel'aveva detto lui stesso: confusione.
E amore verso Tyler.
In quel quadro non c'era spazio per Asher, quindi perché non lasciare perdere e basta? Perché non ci riusciva.
Era passata una settimana da quando si erano visti l'ultima volta - e sì, quel "dopodomani" che gli aveva detto, in realtà non era esistito - eppure gli attacchi di panico venivano a visitarlo puntuali ogni notte, che si ritrovava a passare sul letto, appoggiato al muro, un cuscino sulle ginocchia e le lacrime agli occhi.
Asher davvero odiava piangere. Lo faceva sentire vulnerabile, debole in un modo che non aveva mai sperimentato prima.
Ma non riusciva a fermare le lacrime.
Così come i suoi sentimenti.
Ma con il tempo sarebbe passato tutto, no?
Sospirò, abbassando lo sguardo.
L'altro aveva gli occhiali da sole, quindi non poteva vedere se lo stesse guardando, ma se i loro occhi si fossero incrociati, anche una sola volta, Asher non sapeva se sarebbe riuscito a trattenersi dallo scoppiare in lacrime.
E si dannava, eccome se si dannava. Perché per la prima volta aveva trovato qualcuno che lo interessava davvero, e che sembrava provare le stesse cose verso di lui.
E poi tutto sparito, tutto distrutto in mille pezzi, che probabilmente mai sarebbero potuti essere riparati.
"Tutto bene?" Chiese Ariel, notando il suo cambiamento.
Non che in quei giorni fosse stato particolarmente allegro, ma in quel momento poteva essere probabilmente paragonato al tronco di un albero, da quanto era teso.
"Sì." Sussurrò, varcando il cancello.
Cercò di rimanere il più possibile lontano dall'automobile, dandosi mentalmente dello stupido.
Alexander non era lì per lui, ma per il fratello. Quindi perché crearsi tutti quei problemi, a differenza del più grande?
Forse l'altro stava vivendo la settimana più bella della sua vita, e lui stava lì a stare attento ad evitare la sua macchina.
Era davvero uno stupido.
"Asher." S'irrigidì completamente, quando si sentì chiamato.
La bocca si asciugò improvvisamente, probabilmente sbiancò, ma lentamente si girò.
Samuel lo guardava, un paio di metri lontano. Era così simile al fratello...
Ma la vera domanda era: cosa voleva da lui?
Aveva per caso saputo tutto da Alexander e lo voleva umiliare, giusto per divertirsi un po'?
Chissà cosa pensava di Tyler...
Però trovò decisamente strano il fatto che gli stesse rivolgendo la parola. Avrebbe sicuramente usato altri mezzi per renderlo ridicolo, e poi, quella era la prima volta in assoluto che gli parlava.
Asher rimase in silenzio a guardarlo, mentre giocherellava con la parte inferiore delle spalline dello zaino. Con la coda dell'occhio riusciva ad intravedere Alexander, voltato nella sua direzione.
Adesso poteva averne l'assoluta certezza, lo stava decisamente fissando.
Dio, si sentiva così a disagio.
"Posso parlarti?"
Asher annuì, rimanendo comunque una manciata di metri lontano dall'altro.
"Avvicinati, non ti mordo."
E Asher capì.
Capì che si era messo d'accordo con il fratello, perché l'altro non aveva le palle per avvicinarlo.
Sentì la rabbia bollirgli dentro, come lava incandescente, ma decise lo stesso di rimanere al gioco.
Per cui si avvicinò.
"Potresti darmi una mano con matematica? Ho notato che sei bravo..."
Asher alzò un sopracciglio.
"Ah. E dimmi, come l'hai notato, se dormi in quasi ogni lezione?"
Alexander soffocò una risata, ma non un sorriso che rimase dipinto sulle sue  labbra, mentre distoglieva lo sguardo.
"L'ho notato nelle lezioni che non fanno parte del 'quasi sempre'." Ribatté l'altro.
Asher aprì la bocca, per poi richiuderla.
Davvero non sapeva che dire. Era tutto uno scherzo?
"Potrei parlare con tuo fratello da solo?" Domandò, ad un certo punto.
Samuel rimase in silenzio per alcuni secondi, prima di alzare le mani in segno di resa ed entrare in auto.
"Okay, è uno scherzo, vero?" Chiese, evitando di guardarlo negli occhi.
"Non sapevo ti avrebbe chiesto di dargli lezioni di matematica, non c'entro nulla io."
"E allora cosa?"
"Gli servono lezioni di matematica...?" Rispose l'altro, un sopracciglio lievemente alzato, come se stesse comunicando il fatto che quella mattina si era svegliato. Come se fosse ovvio e naturale.
Ovvio, il cazzo.
"Okay. Dagli il mio numero... Se non l'hai già cancellato. In caso digli di cercarmi su Facebook. Salutami Tyler."
"Asher-" Iniziò il riccio.
"Io ho aspettato. Ho aspettato tutti i giorni." Si lasciò sfuggire, a mezza voce.
Gli bruciava la gola.
Non ce l'avrebbe fatta, non in quel momento.
Ridicolo.
Per cui, ignorando il richiamo dell'altro, si girò e se ne andò.

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