Capitolo 9: Some Nights

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"Mamma?" Chiese, più entusiasta del dovuto, alzandosi in piedi.
Alexander lo osservò, sdraiandosi a pancia in giù sul letto, trucidandolo con lo sguardo. Perché poteva o non poteva avere i pantaloni più stretti del dovuto, al momento.
Lo sentì chiederle come si sentisse, e che razza di domande sono?
Quando dieci minuti dopo Asher chiuse la chiamata, si voltò verso il più grande sorridendo felice.
"Scusami, ma era importante."
"Cosa diamine hai da dire di così importante a tua madre in un momento come quello?" Domandò, acido.
Asher rimase in silenzio, mentre il sorriso piano piano lasciava le sue labbra.
Poi abbassò lo sguardo, mormorando un: "Non la sentivo da tanto tempo..."
E Alexander capì di aver sbagliato a rivolgersi così verso il più piccolo. I suoi erano per caso divorziati e lui era stato affidato al padre?
Sospirò, spostandosi in modo che fosse appoggiato su un fianco.
"Beh, non sono più dell'umore giusto come prima. Ma se vuoi, puoi provare a farmelo ritornare." Ghignò.
Perché sì, quella che lui aveva stroncato sul nascere era una conversazione che non lo riguardava. E Asher non sembrava il tipo da confidarsi facilmente, per cui sarebbe stato imbarazzante per entrambi.
Continuò a fissare il più piccolo, le guance colorate di rosso e la bocca semiaperta.
Poi sembrò prendersi di coraggio, visto che salì sul letto, avvicinandosi a lui.
A quel punto Alexander si voltò completamente, mettendosi in posizione supina.
"Cosa dovrei fare?"
"Quello che ti senti di fare."
Asher annuì per l'ennesima volta, decisamente e visibilmente insicuro di cosa avesse dovuto fare.
Beh, Alexander non intervenne. Doveva iniziare a prendere anche lui parte in quella recita.
Asher salì sopra di lui, facendosi leva con le gambe ai lati del suo bacino, prima di allungarsi verso il suo collo, senza però fare scontrare le loro pelli. A quello ci pensò Alexander, che afferrando le sue cosce da dietro, lo spinse verso sé, facendogli perdere l'equilibrio.
Asher a malapena trattenne un ansito di sorpresa. Lui sorrise compiaciuto.
Asher scese dal collo, baciandogli il petto, per poi scendere sempre più giù. Che il ragazzino non avesse esperienza, si poteva percepire da un chilometro lontano, ma nonostante questo se la cavava.
Abbastanza da far eccitare Alexander di nuovo, specialmente quando iniziò a passare la lingua nella parte di pelle tra l'ombelico e l'attaccatura dei jeans.
Avvertì le sue mani tremolanti slacciarglieli, per poi abbassarli insieme ai boxer quel poco che serviva affinché la sua erezione svettasse libera. Poi si fermò.
"Io... N-non ho mai fatto nulla del genere."
"Vuoi farlo?"
Quella era la domanda che veramente interessava il riccio.
"Sì."
E lo sguardo sicuro e convincente di Asher lo convinse abbastanza.
"Allora ti guido io."
Si mise a sedere sul bordo del letto, prima di alzarsi e liberarsi completamente degli indumenti, facendo inginocchiare Asher davanti a sé.
"Tienilo con una mano, e inizia a pompare piano. Solo quando te la senti, leccalo, così capisci se ti piace."
Asher eseguì, e Alexander non riuscì a trattenere un grugnito. E non era certo di fastidio.
"Adesso prendilo in bocca, ma fa' attenzione ai denti. Non sforzarti più del dovuto, arriva solo fin dove puoi."
Il calore della bocca del più piccolo lo avvolse, e Alexander non poté fare a meno di portare la sua mano tra i capelli scuri dell'altro.
Asher sembrava essere nato apposta per fare quello. Sentì la lingua stuzzicargli la punta in timide lappate, mentre con la mano continuava a massaggiarlo lì dove non arrivava con la bocca. Poi iniziò a fare su e giù, e Dio, Alexander chiuse gli occhi, portando la testa all'indietro.
"Continua così." Gli disse, portando una mano un po' più giù del mento, iniziando a scopargli la bocca.
Diverse volte colpì la gola del ragazzo, il quale ebbe conati di vomito, mentre i suoi occhi diventavano più lucidi.
"Respira dal naso e cerca di rilassare la gola."
Alexander si tirò indietro solo quando si sentì sul punto di venire.
Asher si alzò su, asciugandosi la bocca con il dorso della mano.
"Quindi, sei abbastanza in tiro adesso?" Gli domandò, da sfacciato ragazzino qual era.
Alexander si limitò a ghignare, afferrandolo dai fianchi per poi farlo finire sul letto, sotto di lui.
Si avventò sul suo collo, lasciando un altro succhiotto violaceo, per poi abbassargli i boxer e fargli un servizio di bocca degno di nota.
Asher incurvò la schiena sotto il suo tocco, cercando di muovere il bacino, ma le mani di Alexander lo tenevano ancorato al materasso. Le mani tra i capelli dell'altro, Asher lo pregava di continuare, fin quando ad un certo punto lo avvertì di spostarsi.
Alexander non lo fece.
"A-Al, spostati. Dav...vero, non ce l-la faccio pi-" Lui stesso interruppe la frase con un singhiozzo.
Alexander iniziò ad andare su e giù più velocemente, felice e fiero di sé di ricevere quelle reazioni dal ragazzino.
Asher venne nella sua bocca, e lui, da bravo pompinaro qual era, inghiottì il suo seme. Asher era ridotto in poltiglia, il petto che andava velocemente su e giù.
"Mi dispiace," mormorò, con il fiatone, "Ma ti avevo avvertito di spostarti."
"E io ti avevo sentito." Fu la sua risposta, mentre si tirava su per poi leccargli il lobo dell'orecchio.
Asher rabbrividì.
"Sei pronto per il secondo round?" Chiese, sfacciato.
Asher lo guardò allibito.
"Ma tu ancora..."
"Dopo." Fu tutto ciò che gli disse, per poi alzarsi dal suo corpo.
"Girati e mettiti a quattro zampe."
Asher naturalmente eseguì, il viso arrossato nascosto nel cuscino.
Iniziò a baciargli la schiena, seguendo percorsi improvvisati e sentendo i suoi muscoli tendersi.
Fu contento nello scoprire che il più piccolo avesse le fossette di Venere. Ci passò più volte la lingua su, poi però decise di continuare il suo tragitto.
Con le mani gli allargò le natiche, e vide l'altro alzare la testa, imbarazzato. Aveva anche le orecchie rosse, era adorabile.
"Cosa-cosa stai facendo?!" Chiese, preoccupato.
"Hai mai sentito parlare di rimming?"
"Oh."
"La prendo come un sì."
Gli morse la natica destra, facendolo lamentare, prima di arrivare al suo piccolo anello di muscoli.
Con la faccia sepolta sul suo corpo, Alexander iniziò a stuzzicarlo, dandogli dapprima lunghe e lente lappate. Fu quando fece entrare la lingua nel corpo dell'altro, che avvertì tutti i suoi muscoli contrarsi, e Asher non riuscì a trattenere un gemito.
"D-Dio..." Mormorò Asher, ma ciò non sfuggì all'udito del riccio, che interrompendo il suo lavoro, commentò con un: "Non proprio."
Fatto sta che riuscì a fare venire Asher per la seconda volta praticando solo rimming. Costui cadde sul letto, stremato, il volto ancora nascosto dal cuscino.
Alexander vi si sdraiò accanto.
"Che ne pensi?" Domandò con un sorriso, benché sapesse già la risposta.
"Sono venuto, non è una risposta più che sufficiente?" Rispose con un'altra domanda, visibilmente preso di stizza. O forse d'imbarazzo.
"Beh, adesso c'è un altro problema." Disse, abbassando lo sguardo sulla propria erezione, che aveva reagito più che bene ai gemiti di Asher.
Per non parlare di quando chiamava il suo nome, quasi fosse una supplica, quando l'altro rallentava proprio per farlo disperare.
Asher si alzò, mettendosi tra le sue gambe, prima di prenderglielo in bocca. A quanto pare non gli era dispiaciuto. Meglio.
Alexander evitò di venirgli in bocca, ma il suo sperma andò a finire lo stesso sul suo viso. Asher aprì solo l'occhio destro, dopo ciò. Alexander ne raccolse un po' con il dito, prima di portarlo alla bocca dell'altro. Si aspettava un'espressione disgustata, che però non arrivò, e da lì capì che nemmeno quello gli faceva ribrezzo, specialmente quando prese a succhiarglielo.
"Aspetta, vado a prendere una salvietta." Disse dopo che il più piccolo ebbe finito.
Dopo si sdraiarono entrambi sul letto.
"Hai fretta?" Gli domandò.
Asher scosse la testa.
"Bene. Allora il passaggio te lo do io, ma più tardi."
Odiava alzarsi e fare qualsiasi cosa subito dopo aver avuto un orgasmo, a parte fumare. Cosa che fece, afferrando il pacchetto ed estraendo una sigaretta.
"Non c'è problema."
Asher si girò di fianco, dopo essersi tirato il lenzuolo addosso, probabilmente per pudicizia, e prese a fissarlo.
Alexander se ne accorse, e soffiando fuori una risata, gli chiese cosa stesse osservando.
"Mi piacciono i tuoi tatuaggi." Rispose lui, alzando le spalle, e soprattutto evitando di guardarlo negli occhi.
"Questo cosa significa?" Chiese, portando l'indice sopra un tatuaggio, ma senza sfiorargli la pelle.
Alexander schiacciò il palmo della sua mano con il proprio.
"Non ti bruci." Si limitò a dire, e questo bastò affinché l'altro arrossisse.
Diede una rapida occhiata al punto che stava indicando sulla sua pelle. C'era tatuato un gabbiano, tra il punto in cui si trova il costato e quello in cui si trova il cuore, diretto verso l'alto, proprio verso l'organo vitale.
"È dedicato ad un amico che adesso non c'è più."
"Oh. Mi dispiace."
"È successo tanto tempo fa." Rispose, alzando le spalle.
Jonathan non avrebbe mai smesso di mancargli.
"Se posso, perché proprio un gabbiano?"
Alexander sorrise, lasciandosi andare ai ricordi.
"Andava letteralmente pazzo per "Il gabbiano Jonathan Livingston". Diceva che gli assomigliava, e che avevano lo stesso desiderio. Essere liberi. Buffo, considerando che anche lui si chiamava Jonathan."
Asher annuì, non andando oltre.
"Adesso tocca a me." Gli disse, girandosi a pancia in giù, incrociando le braccia e appoggiandoci su il mento.
"Spara."
"Perché non parli con tua madre da tanto tempo?"
Asher scostò lo sguardo, quasi si fosse scottato.
"I miei genitori sono in America, io abito qui con mio fratello."
Si ammutolì, per poi osservare il soffitto bianco.
"È malata, e spesso non ha le forze per parlare."
Alexander rimase in silenzio per un po'. Si vedeva da lontano quanto l'argomento toccasse il ragazzo.
"E per quanto tempo rimarranno lì?"
"Non lo sappiamo. Se le cure funzionano, circa sei mesi."
"Tumore?" Azzardò.
"Allo stomaco."
Il silenzio riempì la stanza per qualche minuto, prima che Alexander si alzasse dal letto con leggero grugnito.
"Fame?" Domandò, afferrando dal cassettone due paia di boxer.
Asher annuì, mettendosi a sedere.

Non toccarono l'argomento "Madre" per l'intero pomeriggio, e Asher ne fu lieto, nonostante si sentisse più leggero. Non ne aveva mai parlato con nessuno.
Invece parlarono di Tyler, e Alexander gli domandò come stesse andando la loro conversazione.
Asher aprì direttamente la chat, passandogli il telefono, mentre masticava una fetta di albicocca.
"Non hai più risposto?"
Asher lo guardò confuso, sporgendosi in modo da poter leggere.
"Non ho risposto perché ero impegnato." Disse, alludendo a quello che avevano fatto prima.
Alexander rise, prima di addentare un altro pezzo di panino. Panino che gli aveva offerto, ma che si era ritrovato a rifiutare per via della sua allergia.
- Come mai conosci Alexander? - Recava il messaggio.
Guardò Alexander, prima di alzare le spalle e iniziando a dettare, visto che l'aggeggio era in mano dell'altro.
- Sono amico di Sam, e ogni volta dimentica sempre qualcosa a casa di suo fratello, per cui gli faccio la cortesia di andare a prenderglieli e darglieli a scuola.
"Secondo te regge come scusa?" Chiese al diretto interessato.
"Assolutamente." Rispose deciso, prima di premere sul tasto 'Invia'.
"Comunque non credo di piacergli." Aggiunse, facendo una smorfia.
"Se non fosse stato interessato nemmeno un po', non ti avrebbe risposto. Fidati, lo conosco abbastanza bene."
Quell'ultima frase gli fece stringere le budella. Non gli aveva ancora chiesto se fosse il suo ragazzo. Fatto sta che quel "Lo conosco abbastanza bene" gli aveva dato fastidio. E non ne capiva il motivo.
Comunque decise di far finta di niente, perché Alexander era intelligente, e avrebbe capito qualcosa. Cosa, con precisione, non lo sapeva nemmeno lui.

Toccò le corde della chitarra, intonando un "mi minore", per poi lasciar scivolare le altre note all'esterno, facendo riempire la camera delle note di "Give me love", di Ed Sheeran. Gli piaceva il ritmo cadenzato e la tristezza di quella canzone, e allo stesso tempo lo rilassava. Iniziò a canticchiare anche il testo.
Ovviamente prima si fu assicurato per l'ultima volta che la casa fosse vuota.
Era una cosa privata, personale, intima. Non gli piaceva condividere quei momenti con nessuno, se non sé stesso.
Aveva imparato a suonare la chitarra da autodidatta, guardando diversi tutorial su YouTube, dopo essersene uscito un giorno con "Mamma, me la compri per favore la chitarra? Ti prego!", qualche giorno prima di Natale. E quel giorno l'aveva trovata appoggiata all'albero di Natale.
Da allora era diventata la sua inseparabile amica.
Con tutta la discrezione di questo mondo, se la cavava anche abbastanza bene.
Quando lesse il messaggio di Tyler, sbarrò gli occhi.
Gli aveva davvero appena chiesto di uscire insieme la sera dopo?
Oh mio Dio.
Inviò un messaggio ad Alexander, con allegato uno screenshot, e una semplice domanda: "Cosa gli rispondo?"
- Fa' quel cazzo che ti pare.
Forse Alexander aveva sbagliato destinatario. Ma si scollegò, e non gli scrisse più.
Ma era bipolare, per caso?
Prima lo costringeva a fare questo, e poi se ne lavava le mani?
Era seriamente sconvolto, e soprattutto arrabbiato.
Avrebbe preso lui la situazione in mano. E l'avrebbe fatto di proposito.
- Va bene. Dimmi a che ora e dove.
Inviò, infastidito.
Tuttavia, quella serata terminò nel modo più drammatico di sempre. Nel buio della sua camera stava guardando un episodio di Faking It, serie tv iniziata poco prima.
Il fatto tragico avvenne quando Amy capì di essere gelosa di Karma. In quel momento Asher aggrottò le sopracciglia, spense tutto e andò in cucina, avendo urgentemente bisogno di teina.
Aveva la tazza appoggiata al labbro inferiore, era appoggiato al bancone e aveva ancora le sopracciglia aggrottate.
Scosse la testa. Era letteralmente impossibile.
Il tea non ebbe l'effetto desiderato, visto che era ancora nervoso e confuso.
Ritornò - volò - in camera, riaccese il pc e dopo aver aperto una pagina internet, digitò nella barra di ricerca "Cos'è la gelosia." - sì, con tanto di punto, e nemmeno interrogativo.
Aprì un risultato a caso.

<< Provi gelosia quando vedi un pericolo che minaccia qualcosa a cui tieni tantissimo, quando hai paura di perderla.>>*

Lesse e rilesse la frase più volte, a bocca letteralmente spalancata.
Non era possibile. "Qualcosa a cui tieni tantissimo"? Ma se a malapena conosceva Alexander! E poi, "Paura di perderla." Perché, gli apparteneva?
Poi cercò i sintomi - sì, come se fosse una malattia - della gelosia.
Corrispondevano tutti.
Spense nuovamente tutto, vietando a sé stesso di pensare a qualunque cosa.
Quella notte non chiuse occhio.

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