Capitolo 5: Black Hole

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Asher aprì gli occhi di scatto, mettendosi a sedere sul letto, a cercare di regolarizzare il respiro.
Sospirò di sollievo, quando realizzò che era stato tutto un sogno.
Non aveva dovuto assistere alla sepoltura della madre, no. Quella non era la realtà.
Accese il telefono, controllando l'ora, e dopo aver disattivato la sveglia, decise di alzarsi. Tanto non avrebbe più dormito lo stesso, e tra l'altro, mancava a malapena una mezz'oretta alla normale sveglia.
La cucina era illuminata dai raggi di sole che filtravano dalle grandi finestre, rischiarando la stanza in modo confortevole. Perché dove non c'era buio, Asher poteva stare tranquillo. Strano, però, il fatto che amasse dormire al buio, essendone incapace in caso contrario.
Aprì il frigo, prendendo una mela, prima di sciacquarla e tagliarla. Il tea si era finito. Controllò se vi fossero sms sullo smartphone, ma nulla. Sospirò sollevato, e allo stesso tempo preoccupato.
Alexander non gli aveva chiesto nulla, nonostante fossero passate un paio di settimane. A scuola Sam lo guardava, sorrideva compiaciuto e poi se ne andava. Senza dirgli una parola, senza muovere un singolo passo verso di lui. Aveva scoperto su Facebook che i due erano realmente fratelli, e questo lo preoccupava ancora di più.
Non sapeva che aspettarsi.
Uscì di casa che gli altri due non si erano ancora svegliati, ma importava poco: avrebbe camminato più lentamente del dovuto.
Sua nonna lo aveva informato del fatto che aveva inviato un pacco con alcuna della sua roba. Sperava tanto avesse incluso anche la chitarra.
Lo spiazzale della scuola era deserto - ovviamente, e nell'attesa si sedette su una panchina, indossando le cuffie e premendo su "Welcome to the Black Parade", dei My Chemical Romance.
Sbloccò per l'ennesima volta la schermata, quando sull'icona del social network spuntò il numero uno. Aveva una nuova notifica.
E non aveva bisogno di controllare, per esserne sicuro.
Già sapeva. Per cui, con mani tremanti, trovò il coraggio per aprire il messaggio e leggerlo.
- Ci vediamo stasera, alle otto e mezzo, davanti al bar dove mi hai rovinato la camicia. Fatti vivo.
Asher roteò gli occhi.
- Hai intenzione di dirmi per quale motivo?
- Lo scoprirai venendo stasera ;)
Asher chiuse la chat. Sarebbe dovuto andare? E se avesse voluto fargli del male? Ma se non si fosse presentato, cosa sarebbe successo?
Entrò in classe con ancora quei pensieri fissi in testa.
Purtroppo, presto si fecero le otto. Avrebbe dovuto iniziare ad incamminarsi, visto che doveva andare a piedi, e da quel che ricordava - e da quello che gli aveva detto google maps - la strada non era poca.
Aveva deciso di presentarsi, alla fine. Al massimo se la sarebbe data a gambe levate, tanto era veloce. Per fortuna a casa non c'era nessuno, per cui non dovette dare spiegazioni.
Nonostante questo, ogni passo avanti era come affondare nel cemento, e poi non riuscire a tirarsene più indietro. Prese una boccata d'aria, cercando di rilassarsi. Inutile, le sue mani continuavano a sudare freddo.
Arrivò al posto concordato, e non era cambiato di nemmeno una virgola. C'era ancora un pacco di sigarette accanto alla pattumiera - perché buttarlo dentro questa era difficile, un bicchiere in plastica vuoto accanto al portone di ingresso, e tantissime cicche rimaste nella stessa identica posizione, forse spostati di poco dal vento.
Si appoggiò al muro, dato che ancora Alexander non c'era. Insomma, sarebbe stato difficile non notarlo, visto quanto era alto.
Aspettò per quelle che gli sembrarono ore, ogni minuto un pensiero in più a favore di lasciar perdere tutto, e ritornarsene a casa. Poi una macchina bianca si fermò davanti a lui, e il finestrino si abbassò, rivelando un ragazzo in occhiali da sole.
Seriamente, gli occhiali da sole alle otto e mezzo di sera?
"Sali." Disse semplicemente l'altro, e Asher, dopo essersi asciugato le mani sui jeans, aprì lo sportello.
Si stava comportando da sciocco. Lo sapeva, oh, lo sapeva benissimo. Se avesse tentato di fargli del male, non avrebbe avuto alcuna via d'uscita, se non quella di buttarsi dall'auto in corsa, spezzandosi il collo.
Ma, d'altra parte, perché avrebbe dovuto fargliene? Si trattava solo di una stupida camicia, e non è che fosse di Vuitton, quindi...
Prese un altro profondo respiro, poi salì.
"Dove stiamo andando?" Si affrettò a chiedere.
Vide l'altro roteare gli occhi, emettendo un lamento.
"Poco impaziente, mi dicono..."
"Poco elusivo, mi dicono." Rispose a tono.
Alexander si girò verso di lui, sorridendogli. Aveva un sorriso bellissimo, se non fosse stato per il fatto che Asher lo considerava già un folle.
"Se vuoi uccidermi, sappi che mio fratello sa dove sono." Mentì, senza guardarlo negli occhi.
"Non sono un assassino, gattino." Disse l'altro, dopo una lunga risata che poteva sembrare sinceramente divertita.
"Non chiamarmi in quel modo."
"Okay, dolcezza."
Asher corrucciò le sopracciglia, senza però dire nient'altro.
Rimasero in silenzio per tutto il tempo rimasto fino all'arrivo a destinazione. D'altronde, cosa avrebbe dovuto chiedergli? "Come stai oggi?" o "Che mi racconti di nuovo?"?
Erano due sconosciuti.
In macchina insieme.
Verso una meta sconosciuta.
Che guaio...
Quando Asher mise piede a terra, sano e salvo, il cielo era già buio.
Si trovavano in aperta campagna, di fronte ad un vecchio capannone. Posto perfetto per nascondere un cadavere, pensò tra sé e sé. Poi si accorse che non erano soli.
Una donna, dai capelli fucsia, si avvicinò al più grande, abbracciandolo.
"Alex! È da tanto che non ci si vede, eh? Vuoi che ti introduca al pubblico tramite gli altoparlanti? Sai che molti scommetterebbero su di te."
Asher alzò un sopracciglio, non capendo.
"Certo. Grazie, Sophie."
Sophie le schioccò un bacio su una guancia, prima di allontanarsi, muovendo vistosamente i fianchi.
Se avesse avuto effetto su di lui, al momento si sarebbe trovato in guai grossi.
"Cosa sta succedendo?"
"Facciamo le corse, qui."
Alexander chiuse a chiave l'auto, prima di iniziare a camminare verso l'entrata della catapecchia.
"Ah. E sono legali?"
Alexander si fermò.
"Secondo te?"
"Potrei denunciarti." Disse, provocativo. Non l'avrebbe mai fatto, anche se avesse voluto. Tuttavia, ottenne l'effetto desiderato. Alexander si voltò verso lui, un'espressione cupa in volto.
"Potrei rovinarti la vita."
Asher strinse automaticamente la mascella, poiché dagli occhi dell'altro aveva capito che non era un semplice modo di dire. No, era una minaccia vera e propria.
"A cosa ti serve uno come me qui?"
"Ci sono due tipi di gara. Quelle in cui vince chi arriva primo al traguardo finale. E quelle in cui vince chi prende per primo tutte le bandiere presenti sul campo. Le seconde rendono di più."
"E io ti servirei a...?"
"A prendere le bandiere. Sono tenute da un'asticella calata in modo da essere all'altezza del vetro dello sportello, devi solo sporgerti e afferrarlo."
"Ma andrai veloce." Costatò il più piccolo, ad alta voce.
"Direi di sì. Hai paura?" Domandò il riccio, un sorrisino provocante sulle labbra.
"Certo che no." Affermò, sicuro di sé, oltrepassandolo ed entrando nella baracca.
Quello che dall'esterno sembrava un edificio abbandonato, all'interno era tutt'altro. C'erano piste enormi, fari abbaglianti e maxi schermo sospesi in aria, e la tribuna era già piena.
"Seguimi." Disse Alexander, facendosi strada fino ad un garage.
Prese una chiave dal cassetto di una scrivania che si trovava al centro del garage, pieno zeppo di macchine. Arredamento strano, trattandosi appunto di un garage.
"Vieni, sali."
Asher seguì con lo sguardo il castano, il quale si trovava fermo davanti ad una macchina rossa fiammeggiante.
Sgranò gli occhi. Doveva costare parecchio, quella. La stavano per caso rubando?
"Pensi davvero che avrei corso con quella bianca, rischiando di frantumarla?" E quando notò esitazione negli occhi dell'altro, aggiunse: "È mia."
Ad Asher era stato imparato a non credere a tutto ciò che diceva la gente. Ma cosa avrebbe potuto fare? Sperava solo che non si frantumasse nemmeno questa.
Una volta sistematisi sui sedili ed aver allacciato le cinture, Alexander allungò verso di lui un casco.
"Per precauzione." Si giustificò.
Il cuore di Asher correva come una Ferrari, in quel momento. Stava per fare una cosa illegale, eppure, l'adrenalina gli era salita alle stelle. Cioè, non gli dispiaceva più del dovuto...
La gara fu un caos generico. Le urla d'incitamento del pubblico arrivavano ovattate dai caschi, e per di più il finestrino di Asher era aperto, per prendere le bandiere, per cui il tiraggio era veramente forte. Erano dodici, ognuna di un colore e con una stampa diversa.
Alexander sfrecciò veloce subito dopo la fine del conto alla rovescia. Sgommò, sorpassò, sterzò in modo così naturale che Asher, a mente fredda, avrebbe pensato che il più grande fosse nato per fare quello. La velocità però era elevatissima, e tutto scorreva così rapidamente davanti ai suoi occhi che appariva come una massa informe di colori.
Per di più, non ci mancò poco che Asher perdesse la sua mano - o peggio ancora tutto il braccio, quando pronto ad afferrare la quarta bandiera, un'auto avversaria si lanciò letteralmente sul suo fianco, pur di far sbandare il conducente e non permettere al passeggero di acchiappare la bandiera. Alexander, tuttavia, se la cavò più che bene, facendo sbaragliare l'altro.
Avevano vinto.
Avete presente quando nei film fanno vedere persone che scendono da un'auto e baciano il pavimento, felici di avere ancora salva la loro vita? Ecco, cazzate. Perché quando Asher scese, e si tolse il casco, a malapena avvertiva le gambe, figuriamoci inginocchiarsi.
Dopo un quarto d'ora in cui Alexander fu trattenuto dal pubblico che si complimentava con lui, gli disse di aspettarlo lì, e che lui al massimo tra cinque minuti sarebbe ritornato.
Asher non poteva crederci.
Aveva rischiato di più in quella gara che in tutta la sua intera - seppur ancora breve - vita. E il problema più grande era che gli era piaciuto. Ogni bandiera afferrata corrispondeva ad una capriola del cuore all'incontrario. Aveva esultato tanto, troppo, per aver messo in ballo la sua vita e il suo futuro.
Doveva uscire da lì, prima che fosse troppo tardi. L'atmosfera iniziò a farsi pesante, e non poteva reggere un altro minuto di più in quel posto, che recava il nome di Black Hole.
Si fece largo tra il pubblico, fino a raggiungere l'uscita, ma venne fermato da una mano sulla spalla.
"Dove credi di andare?"
"Lontano da qui." Rispose ad Alexander, scrollandosi la mano di dosso e continuando imperterrito a camminare.
"E pensi di ritornare in città a piedi? È a circa tre quarti d'ora di auto da qui." Disse, non nascondendo la punta d'ironia nella voce.
"Non m'interessa, faccio autostop."
"È una zona desolata."
Asher inspirò bruscamente, girandosi ad affrontare l'altro.
"Che diavolo vuoi? Ormai ti ho dato quello che cercavi, a cos'altro ti servo?" Urlò quasi.
Alexander dapprima lo fissò in silenzio, poi si avvicinò - troppo pericolosamente, per i gusti del più piccolo - a lui, sussurrandogli sulle labbra:
"La mia camicia è costata trenta sterline. Per cui dovrai restituirmi altri ventinove favori, gattino, che ti piaccia o no. Non pensare che sia finita qui, quindi."
Poi si allontanò, accendendosi una sigaretta.
"E ora sali, che ti riaccompagno. Se invece vuoi fare domani mattina, allora rimani pure." Così disse, mentre camminava verso la sua auto.
Ventinove.
Ventinove favori.
Non ce la poteva fare.
Era tutto un incubo, giusto? Quando sarebbe suonata la sveglia?

Angolo demenza:
Salve a tutti!
Sì, cambio sempre il nome dell'angolo, non so nemmeno io il perché, ma okay (?)
Direi che siamo entrati nel vivo della storia, adesso. Che ne pensate?
La foto pubblicata non mi appartiene, né s'intende utilizzarla a scopo di lucro. Però, la verità, quanto è porco Harry Styles da uno a infarto? :Q_
Scusate gli eventuali errori, ma sono le quattro del mattino, e il sonno inizia a farsi sentire.
Bene, specificato questo, vi saluto.
Alla prossima!
Black Swan x

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