Capitolo 3: Un nuovo inizio

1K 71 2
                                    

Da Sunderland a Londra c'erano volute circa cinque ore, e Asher fu più che lieto di scendere dall'auto: gli faceva male il sedere, le gambe gli si addormentavano più volte del dovuto e quel silenzio era opprimente. Cole aveva provato a fare conversazione, chiedendogli che anno frequentasse, ormai. Se si fosse ricordato della sua età, non ce ne sarebbe stato bisogno, ma visto che non sapeva nulla di lui da ormai un bel po' di tempo, Asher lo avrebbe trattato come uno sconosciuto. Perché, in fondo, capriccio o meno, non si conoscevano più. E l'ultima volta che si videro, non si lasciarono in buoni rapporti. Asher sorrise amaramente; aveva 14 anni quando Cole se ne andò, e fu a partire da quell'età, che per la prima volta iniziò ad odiare qualcuno sul serio.

"Ash, siamo arrivati," lo avvisò il maggiore.

Il suddetto ragazzo scosse la testa, sentendo quel nomignolo. Che diritto aveva lui, di chiamarlo in quel modo? Ma evitò di farne una polemica, poiché da quel momento in poi, avrebbero vissuto sotto lo stesso tetto, e che gli piaceva o no, Cole gli stava facendo una cortesia, per cui doveva abbassare le corna, e cambiare la sua strategia. E l'unica soluzione che gli affiorò in mente, stampandosi indelebilmente a caratteri cubitali fu: indifferenza.

Scese, afferrando la sua valigia, e tirandola su per le scale, fino al quarto piano, dove Cole viveva, insieme alla donna.

Solo in quel momento, però, Asher realizzò che nemmeno lui conosceva il fratello: non sapeva cosa aveva fatto in quei tre anni, né che lavoro facesse, come si trovasse a vivere in una città così grande, o ancora, la donna con la quale abitava. Aveva sentito solo il nome, e già lo aveva dimenticato.

Respirò profondamente, aspettando che Cole aprisse la porta d'ingresso.

Non appena entrato, non perse tempo ad osservare l'appartamento, gli serviva solo un letto su cui sdraiarsi, nulla di più, nulla di meno.

Una donna dai capelli tinti di rosso comparve loro, piazzandosi davanti, con un sorriso meraviglioso ad accompagnarla.

"Ciao, piacere, mi chiamo Birdie," si presentò immediatamente, e soprattutto, con una naturalezza che prese il più piccolo in contropiede.

"Asher," disse semplicemente, stringendole la mano.

"Immagino vorrai riposare, vieni, ti mostro la camera."

Asher annuì impercettibilmente, lasciandosi guidare dalla donna fino ad una stanza un po' isolata dalle altre. Nel frattempo continuò a parlare.

"Com'è andato il viaggio?"

"Normale."

"Se vuoi fare una doccia, il bagno si trova in fondo a destra. Hai fame?"

"No, non molta. Vorrei solo lavarmi e andare a dormire," ammise, stupendo sé stesso per quanto aveva parlato.

Asher era stato sempre un tipo timido davanti agli sconosciuti, e non sapeva cosa aspettarsi da una donna come Birdie. Intanto, una medaglia al valore per riuscire a stare con un uomo tanto incurante degli altri, gliel'avrebbe data più che volentieri.

"Certo, capisco. Allora buonanotte, Asher. Fa' come se fossi a casa tua," detto questo, la ragazza percorse la strada a ritroso, prima di sparire definitivamente dalla visuale del moro.

Inspirò, poi abbassò la maniglia della porta, ritrovandosi in una camera non molto grande, ma adatta ad una persona. Le pareti erano di un grigio perla chiaro, che si adattavano perfettamente al colore bianco del mobile: c'era un letto singolo affiancato ad un muro orizzontalmente, un comodino accanto, un armadio abbastanza grande di fronte e nell'altra parete, una scrivania era posizionata a poca distanza da una porta finestra che probabilmente portava ad un balcone. L'ambiente che se ne creava, già a primo impatto sembrava accogliente, riservato, tutto ciò che cercava lui, insomma.

OverwhelmingWhere stories live. Discover now