Capitolo 2: Addio

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Non chiuse occhio, quella notte, e quando la sveglia suonò, non si preoccupò di staccarla. Si alzò come un automa, passando dal bagno, prima di ritornare in camera a prendere gli occhiali da vista. Solo dopo scese in cucina, e iniziò a prepararsi un tea. Di solito non faceva colazione, visto che non ne aveva tempo, ma oggi, nonostante non dovesse andare a scuola, aveva lo stomaco chiuso, e iniziò a prepararlo per abitudine, più che per altro.

Sua madre ritornò dal profondo corridoio, con addosso la vestaglia di cotone sul pigiama pesante; il suo viso si rabbuiò ancora di più, quando vide che il figlio aveva distolto velocemente lo sguardo, e nonostante questo, non le sfuggirono le pesanti occhiaie che gli contornavano i meravigliosi occhi azzurri. Proprio come i suoi.

Ashersi sentì abbracciare da dietro, e sussultò, per poi appoggiare la mano su quella della donna, posta sopra la sua pancia.

Asher si fece forza: non poteva dare altro dolore alla donna, e voleva rimanere ogni singolo attimo con lei, mentre il terrore di poterla perdere da un momento all'altro gli lacerava le viscere.

"Cappuccino?"Domandò, facendosi coraggio.

"Sì, grazie."

Virginie andò a sedersi, dopo aver posato un bacio sulla guancia dell'altro.

"Me ne fai uno anche a me?" Chiese una voce roca alle sue spalle.

Asherse n'era quasi dimenticato.

"Alzati e fattelo," rispose acidamente, prima di versare il latte nella tazza e aggiungerci qualche goccia di caffè.

"Ma non so come si fa... A me lo prepara sempre Birdie," iniziò a borbottare, grattandosi la nuca.

"Non sono Birdie, quindi vedi di darti da fare."

Il silenzio calò nella stanza, prima che sua madre chiedesse informazioni di Birdie - chi diamine era, Birdie? -  al figlio maggiore.

Asher si soffermò sugli occhi marroni di quest'ultimo, diversi da quelli della madre, mentre i capelli erano proprio come i suoi, dello stesso colore dell'ossidiana, lisci come spaghetti.

Si riscosse dalle sue riflessioni solo quando sentì la donna chiedere a Cole se avesse intenzione di sposarla. Era la sua ragazza, quindi.

"Sai ma', mi prende come mai ha fatto nessuna, sa calmarmi quando necessario e sa farmi incazzare quando vuole. La amo," Asher notò lo strano luccichio nei suoi occhi, mentre ne parlava, e storse la bocca, pronto ad andare a vomitare anche il tea.

"Papà?"Li interruppe il più piccolo, riposando la tazza di topolino al suo posto.

"È ancora a letto, si sta riposando."

Annuì, iniziando a dirigersi verso la propria stanzetta, ricordandosi poi di avere un'importante domanda da fare, per cui ritornò indietro.

"Quand'è che partiamo?" Chiese, così, a bruciapelo, le braccia allungate lateralmente in modo da permettergli di poggiarsi al muro da entrambe le parti.

I due presenti lo guardarono stupiti, poi sua madre sorrise.

"Partiamo nel pomeriggio, sul tardi," fu suo fratello a rispondere, in modo pacato.

"Voi quando partite?" Chiese poi alla donna.

"Il volo è alle cinque di domattina."

Annuì per l'ennesima volta, per poi andare a preparare la valigia.

Gli sarebbe mancata quella camera, dalle pareti azzurre, poco personalizzata, ma che comunque era stato il suo rifugio per anni.

Ma più di tutto, gli sarebbero mancati i suoi genitori, e in particolar modo sua madre.

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