Decisioni

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Gabriele aveva passato la notte. Si fosse trattato di un altro bambino non sarebbe stata una notizia eclatante, ma al suo arrivo in ospedale tutte le rassicurazioni pediatriche accumulate in due anni erano saltate come birilli. Era sottopeso, era anemico, un po' gracile e con un ritardo nella crescita. Niente di drammatico, ma in quel momento il suo corpo gli remava contro come mai prima. Michela era stata precisissima nel dare tutte le informazioni, sia sul figlio che sui tempi e i modi del rapimento. Non aveva nascosto niente, si era data la colpa per la sua distrazione, spiegò del messaggio in segreteria ascoltato due volte, senza specificare. Non era il luogo, non era il momento. Avevano ripulito lo stomaco del bambino e mandato tutto al laboratorio analisi, ma era un'evidenza logica, prima ancora che scientifica, che fosse stato intossicato. Ora bisognava stabilire se si trattasse di droga o veleno. Corinna aveva raggiunto Michela in ospedale, non si erano scambiate una parola e avevano atteso sedute su due poltroncine, mano nella mano. Gabriele non si svegliava. Non rispondeva a nessuna sollecitazione, nemmeno al dolore. Per due anni Michela aveva pregato che dormisse, e ora che veniva esaudita non le rimaneva che maledirsi mille volte.

«Mamma.»

Corinna non rispose, ma fu come se.

«Ti ricordi quando mi hanno presa, a otto anni?»

La stretta della mano si allentò, poi si intensificò, poi tornò stabile. Nessuna risposta, ma di nuovo fu come se.

«Come si chiamava quel poliziotto? Quello con i baffi?»

«Cardinali. Giuseppe Cardinali.»

«Quando lo hai sentito l'ultima volta?»

«Non lo so. Vent'anni fa.»

«E' ancora vivo?»

Corinna sospirò. Non le piaceva ripensare a quella storia in circostanze normali, figuriamoci adesso.

«Non lo so, Michela, credo sia stato trasferito. O forse non ha mai vissuto qui, so che non l'ho più visto e che ha smesso di chiamarci un paio d'anni dopo.»

Niente domande, come d'abitudine.

I medici le raggiunsero mezz'oretta dopo per dire che i valori del bambino erano un po' alterati, aveva la febbre, niente di drammatico ma c'era. Ancora non si svegliava.

«C'era così tanto valium in quella barretta di cioccolato da addormentare un elefante.»

Mamma e nonna ottennero di vederlo. Entrambe le figure maschili della famiglia erano in viaggio, il nonno dalle Marche, il padre dall'estero, sarebbero arrivati con il nuovo giorno. Un po' di giornalisti, invece, erano lì in ospedale, tenuti a distanza ma con diritto d'attesa. Michela sapeva che se gli avesse rimesso la suoneria il telefono non avrebbe fatto che squillare, ma voleva che il padre del bambino, Claudio, potesse contattarla e chiederle come stesse. Lui e non solo. Perché anche nel marasma a Michela non era mai passato di mente quale fosse il messaggio che l'avesse distratta al punto da consentire la scomparsa di suo figlio.

"Magari mi chiama."

Era una speranza, e non se lo negava. Aveva sperato per ventidue anni che quella chiamata arrivasse. Di rivederlo. La cosa più vicina a un genitore che avesse mai avuto. Un uomo buono. Il solo uomo buono mai conosciuto. Alle due un tizio dal respiro pesante con una giacca in tweed bussò piano alla porta e le fece un cenno. Michela guardò Corinna, Corinna annuì, la figlia lasciò la stanza. Quel tizio non aveva i baffi, ma si capiva subito lo stesso che mestiere facesse.

«Ispettore Ricci. Devo farle qualche domanda.»

«Va bene.»

Michela estrasse il cellulare e iniziò a digitare.

Non ti faccio nienteWhere stories live. Discover now