Le vie senza ritorno

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Bianca non aveva il sonno particolarmente pesante, quindi il rumore la svegliò subito. Era simile a quello che fanno le dita quando strisciano su una superficie smaltata, solo che era certa non si trattasse di dita. Vedendo il letto vuoto per un istante si immaginò Mariangela impiccata alla tenda del bagno, i piedi che si dibattevano sul bordo della vasca. Ma aveva conosciuto abbastanza esemplari del genere umano per capire che non poteva essere. Mariangela era fatta di paura. La porta chiudeva male e dalla fessura vicino alle cerniere filtrava una bella fetta di luce. Bussò con delicatezza. Dentro un rumore improvviso, la fuga di un corpo che si ritrae.

«Mariangela, stai male?»

L'acqua tirata, l'odore di vomito che arrivava fin lì. Poi sentì la serratura scattare e fece un passo indietro per non essere invadente. Il viso di quella sua coetanea che sembrava tanto più vecchia di lei era devastato, gonfio, i capillari esplosi su guance e naso per lo sforzo dei conati. Ma quello era il meno. Gli occhi portavano i segni di una notte di pianto silenzioso, sepolto tra le lenzuola ruvide di un letto scomodo, ed erano così disperati da sembrare folli.

«Io non ce la faccio.» biascicò Mariangela, e inaspettatamente le si buttò tra le braccia. Puzzava di sudore, di acido, si era vomitata anche sui capelli e se li era sciacquati, senza grande risultato. Bianca non era abituata ad accogliere la gente, ma non lo era neanche a respingerla.

«Non sono brava in queste cose.» le sussurrava Mariangela all'orecchio. «Non sono brava in queste cose, non sono brava.»

Bianca ascoltava e annuiva, non sapeva se la sua fosse una risposta, le capitava spesso di vedere le cose in maniera chiara e lineare quando non lo erano. Si staccò lentamente, l'altra tremava come una foglia, ricordava che suo padre aveva tremato nella stessa maniera quando lo avevano portato in ospedale, prima che morisse. Le aveva avvolto intorno una coperta marrone a righe, era tornata in bagno e aveva aperto l'acqua. Era molto presto, qualcuno nell'albergo si sarebbe potuto lamentare, o forse no. Riempì la vasca, andò a riprendere Mariangela, la spogliò con gesti pratici, da infermiera, ignorando l'imbarazzo che evidentemente la donna provava, ma l'imbarazzo non era la priorità in quel momento. Aiutò Mariangela a lavarsi, soprattutto i capelli, con i flaconcini omaggio dell'albergo. Il vomito non era stata la sola cosa sfuggita al suo controllo e tutti i vestiti erano da buttare. Anche volendo Bianca non avrebbe potuto prestarle i propri, non ci sarebbe entrata, però poteva lavare gli slip e i collant. Mentre si asciugavano sul termosifone le aveva strofinato bene i capelli, che il phon non c'era, e glieli aveva legati in modo che stessero in ordine. Poi le si era seduta davanti, sistemandole gli asciugamani addosso, il tremito sempre lì ma meno evidente.

«Allora, cosa vuoi fare?» le chiese.

«Voglio tornare a casa.» pigolò l'altra.

Bianca annuì di nuovo. Si alzò, andò a prendere la borsa di Mariangela, tirò fuori il portafogli e prelevò centocinquanta euro.

«Te ne lascio cento, va bene? Così faremo meno fatica.»

Mariangela annuì vigorosamente.

«Però ci devi dare un po' di vantaggio. Non andare subito a casa, lì ti aspettano. Vai da un'amica, da dei parenti, basta che non ti prendano prima di stasera, ok?»

Di nuovo la testa andò su e giù.

«E mi devi giurare una cosa sola: non dire che stiamo andando da Vincenzo. Racconta che stiamo tornando a Roma da Emiliano. Per il resto di' sempre la verità, spiega che siamo stati qui, che la camera singola l'avevi tu e che io dormivo con Daniele, non importa se si fanno idee. Racconta tutto, cambia solo questo dettaglio, così crederanno che non fossimo d'accordo e se la prenderanno meno con te.»

Non ti faccio nienteWhere stories live. Discover now