I pezzi sparsi

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«Le volevo solo far fare l'aeroplanino, come quando era piccola! Gliel'ho fatto mille volte. E va bene che sarà cresciuta, ma è pur sempre una bambina, no? E poi mi conosce, mi chiama zio, non pensavo si prendesse paura.»

Vittorio Tiozzo, nel giorno del suo cinquantesimo anniversario di matrimonio, non si dava pace. Anche se sapeva di non essere sotto accusa si sentiva in colpa per una lista di cose che sua moglie gli avrebbe elencato non appena arrivati a casa, altro che festeggiamenti. Aveva mangiato troppo, aveva bevuto troppo, era uscito dal ristorante senza cappotto rischiando una congestione, aveva svuotato la vescica in mare, cosa gravissima e oltraggiosa, soprattutto perché l'aveva fatto davanti a una bambina. E anche se la bambina stava a trenta metri da lui faceva lo stesso. Così ora, anche se tutti gli facevano le domande su quelle tre persone, tre, ne era certo?, che lo avevano aggredito sulla spiaggia lui continuava a giustificarsi. Non se li ricordava quei tre, cioè, una cosa vaghissima, stavano tra i piedi, uno era un uomo, una una donna, il terzo non sapeva ben dire, non era stato lì a guardarli, aveva visto Alice e gli era sembrata subito un'idea bellissima e spiritosissima farle fare l'aeroplanino. Poi era tutto confuso, si era sentito tirare, era caduto, la bambina non c'era più, intorno urlavano come dei matti. E le ambulanze e le sirene e lo sguardo di rimprovero di sua moglie che gli chiedeva dove fosse stato.

Nello stesso momento Alice rischiava di addormentarsi su una sedia mentre i poliziotti parlottavano tra loro, intenzionati a rifarle tutte le domande, come se lei avesse potuto rispondere meglio di così. Sì, conosceva il signor Tiozzo, lo chiamava "zio Vitto", senza accento. E sì, l'aveva capito subito che voleva farle fare l'aeroplanino, anche se ormai era grande e rischiavano di cascare tutti e due. L'altro uomo invece non lo conosceva, mai visto. E loro a insistere: davvero? Nemmeno a scuola? Nemmeno per strada? Nemmeno in foto? Ma lei nemmeno in foto lo aveva mai visto, e sì, era sicura, si era trovata la sua faccia appiccicata. Le restava la paura tremenda e la vergogna, si era fatta la pipì addosso e ancora non si era potuta cambiare. Le avevano portato via la paperella, erano andati a casa ma non avevano trovato l'altra, eppure lei era sicurissima che c'era. Ora era quasi mezzanotte e lei aveva sonno, ma loro insistevano. E la donna insieme all'uomo? Cosa ricordava della donna insieme all'uomo? Ma la sola cosa che ricordava della donna insieme all'uomo era la voce che gridava "LASCIALA, DANIELE, LASCIALA!". Poi la sabbia, poi la mamma. L'avevano quasi rubata, portata via come nelle fiabe. Che c'entrava zio Vitto? Lui non aveva fatto niente, non era stato lui a farle quello.

Stavano ascoltando tutti, anche Giulio Borgato, anche la registrazione al 118 in cui si chiedeva aiuto per un sospetto avvelenamento collettivo, controllavano i votacci su TripAdvisor, verificavano quante persone sapessero del banchetto, a Chioggia, e da quanto. Molti testimoni erano andati a casa, si erano solo spaventati e una volta appurato che erano in salute erano stati congedati.

Dal commissariato erano partite telefonate per Torino e per Perugia.

In mano non avevano niente, solo una profonda voce da uomo che ripeteva

«Presto, venite al "Sottomarina", c'era qualcosa nel cibo e stanno tutti male, sono persone anziane, una non risponde più! Venite, aiutateci!».

Borgato aveva riconosciuto la voce che aveva chiamato anche lui, ma dai controlli la telefonata risultava fatta da un cellulare registrato da un'Opera Pia di Catania.

Tutte le speranze erano riposte nella paperella, un'impronta, una traccia di DNA, qualcosa.

Perché altrimenti il solo appiglio per un'accusa era il riconoscimento diretto di Daniele Burati da parte di Serena Scattolin, la proprietaria del locale.

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