Gli appuntamenti

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Emanuele De Luca aveva avuto tre figli. Si era sposato giovanissimo, a vent'anni, non era stata nemmeno necessaria la fuitina con sua moglie, perché la famiglia era d'accordo. I De Luca erano stimati, gente per bene, avevano una piccola ditta di costruzioni in cui il figlio era entrato subito, prima ancora di diventare maggiorenne. Emanuele e Rosanna avevano avuto il primo figlio quasi subito, Francesco, e il secondo, Giuseppe, dopo tre anni. Il terzo figlio era arrivato quasi per sbaglio, non se l'aspettavano più, ed era cresciuto nell'adorazione di tutta la famiglia. Nicolò assomigliava moltissimo al fratello maggiore, avevano caratteri molto simili, e i dieci anni che li separavano avevano fatto sentire Francesco investito di grande responsabilità nei confronti del piccolo. Voleva che imparasse a cavarsela da subito, a essere forte, a farsi valere. Nicolò era allegro, intraprendente, curioso, i fratelli se lo portavano davanti sul motorino, cedendogli il casco e scatenando l'ira della madre. Aveva vissuto otto anni molto belli, sereni, era sorridente, amato, la vita andava in discesa. Olga era rimasta a osservarlo per una settimana intera. Difficilmente rimaneva da solo, molto più facile vederlo con uno dei fratelli, meno spesso con i genitori. Emanuele in quei giorni di inizio estate stava tutto il giorno alla cava, coordinando i movimenti dei camion, Rosanna era infermiera e si occupava di fare le iniezioni a domicilio agli anziani dei paesi limitrofi. Nicolò andava a scuola, portato e andato a prendere da Francesco che aveva già la patente. A casa faceva merenda e si arrangiava con i compiti, poi usciva a giocare, che le vacanze erano alle porte, mancavano giusto due giorni. Il marito di Olga l'aveva portata giù e poi era tornato a Perugia per firmare, lei avrebbe avuto bisogno di lui più avanti. Non le era stato difficile muoversi nella città, una donna anziana in mezzo ad altre donne anziane, vestaglietta lunga, golfino traforato di cotone, un foulard. Non si fermava nei luoghi pubblici, non voleva che qualcuno attaccasse bottone e scoprisse il suo accento. Camminava con aria indaffarata davanti alla scuola in orario di uscita e si chiedeva come avrebbe fatto lui, l'uomo della macchina blu. Lo avrebbe seguito, si sarebbe annotato gli orari, le abitudini, e poi? Improvvisava? Per l'improvvisazione era necessario un piano di riserva, era logico. E lui era un uomo giovane, negli anni '80, con un'auto, lei era una vecchia degli anni '10 appiedata in una terra afosa. Non poteva improvvisare, doveva essere certa di quello che faceva. Aveva pensato al cloroformio o qualcosa di simile, ma ci voleva prontezza e forza per immobilizzare un bambino di otto anni e farlo respirare abbastanza a lungo la stoffa imbevuta. E poi come avrebbe potuto comprarlo? Il cloroformio non si trova al supermercato. Le era subito venuta in mente la sua scorta interminabile di Valium, panacea per la coscienza del suo medico curante, che almeno dorma, poveretta. Per lei ormai il Valium non aveva alcun sapore, avrebbe potuto berne una boccetta sciolta nel tè, ma il bambino invece se ne sarebbe potuto accorgere, se l'avesse messo in un cibo. E quale cibo? Pane, biscotti? Non sapeva decidersi, le sembrava tutto vago, incerto, ogni ipotesi ne valeva un'altra. Lasciò passare l'ultimo giorno di scuola, osservò il bambino nel pieno dell'euforia e si accorse subito che i fratelli, altrettanto esaltati, allentavano le maglie. Forse aveva torto, ma chiamò Pietro e gli disse di scendere, senza prendere l'autostrada, poco importava se ci metteva il doppio del tempo. Lui non fece obiezioni. Il giorno designato era un martedì. Nella borsa Olga aveva una siringa pronta, due barrette di cioccolato nelle quali aveva iniettato un po' di Valium e una delle paperelle di gomma prese dalla camera di Chiara, da lasciare con il bambino quando tutto fosse finito. Quel mattino al mercato aveva trovato un cestino di primizie, albicocche grandi e succose, molto dolci, e aveva preparato anche quelle. Sapeva che il bambino, dopo i cartoni delle tre, usciva di casa e andava al campetto della parrocchia. Non era un gran percorso, ma forse si poteva allungare. Lo aspettò seduta sul bordo di un'aiuola, un'albicocca in mano, la testa protetta dal sole e dai rami di un ulivo. La macchina di Pietro era nella via parallela, il motore spento. Il bambino era passato e lei gli aveva detto:

Non ti faccio nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora