Prima

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«Perché sei amica di quella?»

Ancora la stessa domanda. Senza inflessioni, senza intenzioni, il tono neutro, spento.

«Non sono sua amica. Voglio solo aiutarla, sta passando un momento difficile.»

«Se l'è meritato.»

Sedeva al tavolo della cucina, il braccio appoggiato, lo sguardo vacuo di chi è lì solo col corpo. L'ombra dell'uomo che era stato.

«Cosa vuoi mangiare per cena?»

Non le aveva risposto e lei non aveva osato insistere. Quando si era voltata verso il lavello per iniziare a sistemare le posate aveva sentito il suo sguardo sulla nuca.

«Se l'è meritato.» le aveva ripetuto.

Un monito.

Una minaccia.

Erano sempre stati una strana coppia, lui pacato, serio, alto, la fronte spaziosa e le sopracciglia sottili, lei piccolina, frizzante, ridarella, i ricci e le lentiggini. Si erano conosciuti a una festa, lei svolazzava tra un invitato e l'altro e lui parlava in disparte con alcuni amici. Era stata lei a notarlo, sembrava così tranquillo, sorridente, sicuro. Non era bello ma trasmetteva forza e calma. Nessuno ci avrebbe scommesso due lire, e invece era andata. Era stata lei a volersi sposare subito, lui avrebbe preferito mettere via qualcosa, era entrato in una ditta di trasporti, si faceva l'Italia da cima a fondo, ma lei amava il concetto di nido, due cuori e una capanna, e allora l'avevano fatto, in chiesa dopo nemmeno un anno, la casa messa insieme dai doni di nozze dei parenti. Era stato un periodo bello. Qualche volta lei gli chiedeva di accompagnarlo, ma lui aveva detto di no, l'assicurazione della ditta non proteggeva i passeggeri e lui non voleva farle correre rischi. La trattava come una bambolina di cristallo, era il suo gioiello, la ragione per cui si alzava al mattino, l'ultimo pensiero la sera. Da qualunque posto visitasse per lavoro le portava una sciocchezza, un souvenir, un pacchetto di cartoline, un monumento in miniatura, e lei lo accoglieva con gioia e trilli da bambina. Era bello. Era una cosa pulita. Così lui si era comprato un camion proprio, tra mille sacrifici, da pagare in un numero esorbitante di anni, e in due occasioni l'aveva portata con sé. Per tutto il tempo era stato in tensione, era andato piano, consegnando in ritardo, ma lei era stata così felice, come portarsi il sole chiuso nella cabina. Forse lei avrebbe accettato di accucciarsi lì dietro con lui, ormai erano marito e moglie da due anni, ma lui no, lui non l'avrebbe mai fatta abbassare a tanto. Con il camion proprio era entrato più lavoro, qualche soldo in banca lo avevano accumulato, lei gli aveva buttato lì ridendo che magari potevano pensare di allargare la famiglia, i cuori sarebbero diventati tre, la capanna sarebbe stata più stretta ma decisamente più allegra, e lui aveva risposto che ci avrebbe pensato. E ci aveva pensato. Lungo la tratta Perugia-Forlì si era chiesto perché lei volesse avere subito un bambino. Era giovane, aveva ventitre anni, cosa le mancava? Forse non riusciva a darle tutto quello che le serviva? Forse lui non era abbastanza? Non capiva le sue esigenze, i suoi bisogni? Sembrava così felice... Non era stato un pensiero ossessivo, quasi non attecchì in lui, ma lasciò qualcosa, delle spore di dubbio che per molto tempo rimasero inerti, in attesa. Iniziarono a passare i mesi, e il figlio non veniva. Le aspiranti nonne facevano allusioni a raffica, il parentado portava loro i figli per allenarsi, lei sorrideva sempre, lui no. Sembrava essere diventato l'unico argomento, il fulcro di tutto. A lui non importava, anzi, lui di un figlio non sentiva nessun bisogno. Gli piaceva la situazione così come era, loro due, le notti tiepide sotto le lenzuola, lei raggomitolata come un gatto contro il suo petto e lui a farle da guscio, che guai a chi gliela toccava, il suo fiore, il suo angelo. Che bisogno avevano di un bambino? Ma lei lo voleva, si accorse che lo sollecitava più spesso, e per forza non era per lui, non era desiderio, era ricerca. Il suo era diventato un ruolo meccanico, non emotivo, l'uomo era passato in secondo piano. Ma certo non le si sarebbe negato, anche se questa sensazione di non essere abbastanza riaffiorava spesso. E così ci provarono ancora, ci provarono spesso, ma ogni mese a un certo punto lei gli veniva incontro con il viso stanco, mangiava niente, una copertina di lana sulla pancia, la televisione, il divano. Per cancellarle dagli occhi l'ombra di quella delusione cercò di farle regali più grandi, più costosi, cominciò a viaggiare di più, prendere lavori scomodi che lo portavano lontano, anche fuori dal paese. E poi a incontrare i colleghi nelle trattorie e le battute, stai attento che poi il figlio ti arriva biondo, e lui abbozzava, non c'era un motivo al mondo per pensare questo di lei, e però intanto era passato un altro anno, lei chiedeva di meno, mentre era lontano usciva con le amiche, aveva iniziato a vestirsi bene, andare dal parrucchiere, farsi carina, e lui non c'era mai. Fu quello l'attimo in cui le spore attecchirono. Tornava a casa senza avvisare, trovandola regolarmente in tuta, accoccolata sul divano, ago e filo perché le piaceva rammendare e dare una mano alle sue cugine con bimbi piccoli. Sembrava sempre contenta di vederlo, in quella casa che era diventata troppo bella per lui, così come sua moglie, ancora tanto giovane. Le spore erano diventata ulcere, rosicchiavano ogni giorno qualcosa, si nutrivano, crescevano. Rifiutò più di un lavoro ma fece ugualmente finta di partire, e nel frattempo la seguiva, la osservava, in cerca di tracce. Non vedeva nulla, e allora si dava dello stupido, perché qualcosa ci doveva essere. Poi, finalmente, quattro anni dopo il matrimonio, lei gli aveva buttato le braccia al collo.

Non ti faccio nienteWhere stories live. Discover now