Chapter 15: Emperor's New Clothes

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A/N: è una delle mie canzoni preferite, spero di portarle onore.

"Michael. Fermati, per cortesia. Dimmi come ti senti".
"Tortora".
"Come puoi sentirti un colore?".
"Mi sento come tutte le sensazioni che mi suscita quel colore".
"Il color tortora?".
"Esatto".
"Perchè, Michael?".
Mi fermo all'improvviso, al centro dello studio, il mio sguardo fisso sulla finestra.
Vedo il mondo al di fuori, ma non lo guardo.
Sento, ma non ascolto.
Sono diventato così bravo ad isolarmi in me stesso, a perdermi nei meandri della mia testa, della mia psiche, della mia malattia, della mia nevrosi che riesco a fingere di ascoltare, sentendo soltanto rumori lontani; riesco a fingere di guardare, vedendo soltanto immagini sfocate, l'arte delle cose incerte, indefinite, poesia del vago e dell'infinito; riesco a fingere di dire qualcosa quando, in realtà, parlo soltando, non dico sul serio.
Tutto ció che dico lo dipingo.
Sorrido piano, tra me e me, pensando al color tortora, al colore delle pareti dell'ingresso di casa dei miei genitori.
Pareti che hanno sentito urla, pianti, grida, che hanno visto odio, amore, distruzione.
Hanno sentito il nome della mia malattia, mi hanno guardato quasi ridendo, loro che non hanno capito, che non potranno mai capire.
Loro che...
"È un colore che mi fa sentire vulnerabile".
"E come mai questo, Michael?".
Le mie mani stringono le orecchie, non voglio più sentire la sua voce.
La sua, la sua, la sua.
'Sta bene, Karen, non è malato! È solo confuso'.
'Non è una vera malattia!'.
'È solo lunatico'.
Ma non ero lunatico.
Non sono lunatico.
La sua, la sua, la sua.
'Michael, smettila di comportarti in questo modo!'.
'Affronta il dolore, Michael, o questo mondo ti schiaccerà'.
Ma ci sei già tu a schiacciarmi, papà.
"Mi destabilizza. Soffia via le mie certezze" rispondo piano, la mia voce fioca, a malapena udibile, quando Fitzgerald mi osserva, confuso.
"Elabora, Michael".
"La smetta di dire il mio nome!".
'Smettila, Michael!'.
La mia psiche si contorce, mi piega, mi porta in ginocchio, mi fa male, un male fisico, un male allucinante. La testa tra le mani nel tentativo di soffocare il dolore ma è inutile, è tutto inutile.
Non posso fare nulla.
Il dolore vince sempre.
"Michael!".
All'improvviso, piano piano, il nodo si scioglie, la mia mente si rilassa, riapro gli occhi, vedendo sempre tutto sfocato, offuscato dalle lacrime che non mi ero accorto di aver versato.
"Michael, respira".
Voce lontana, oh voce lontana, voce severa, dolce, temuta, amica.
Il mio petto si alza ed abbassa, con la stessa lentezza e velocità con cui un'onda nasce, cresce e muore, tramutandosi in spuma.
La mia psiche una tela disordinata, rotta in alcuni punti, lesa, masticata dal rosso e dal blu, dal nero e dal grigio, dal bianco e dal...
Tortora.
Lentamente il mio respiro torna regolare, ed alzando la testa noto Fitzgerald accanto a me, in ginocchio, che mi osserva preoccupato.
Ora hai davvero paura di me?
"So chi ha il mio stesso tatuaggio".
E dopo quelle parole,
Il buio.

Chiedo scusa per questi capitoli a dir poco particolari, che ad alcune potrebbero non piacere, ma sono fondamentali per capire il personaggio di Michael.
Nel prossimo capitolo ci sarà più azione.

Holy || Muke Clemmings Where stories live. Discover now