Chapter 21: Ready To Go

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"Michael, cosa ci fai qui?".
La domanda dello psichiatra mi coglie di contropiede perchè, effettivamente, cosa ci faccio io qui?
Sono mesi che non metto piede nel suo studio, è sempre lui a venire a casa mia, eppure questa volta i miei piedi mi hanno portato fino a qui senza ragione apparente.
O forse una ragione c'è.
"Posso disegnare?" Domando a bassa voce, seduto nel solito punto, guardandomi le mani come se non fossero neanche mie, sentendole lontane quando non disegno, quando non dipingo, quando non creo arte.
Quando io stesso non sono arte.
Un blocchetto bianco ed una matita vengono messi tra le mie mani ed immediatamente, senza neanxhe battere ciglio, comincio a disegnare.
'Non è malato, Karen! Guardarlo, sta bene, è solo confuso!'.
'È il suo tatuaggio che lo rende così'.
'Non è bipolare, Michael non è bipolare'.
Scoppio in una risata amara ricordando quelle parole dette da mio padre al dottor Fitzgerald quando se n'è uscito con la mia diagnosi.
La stessa risata che ha lasciato le mie labbra quando me l'ha detto.
"Parlami, Michael".
"Cosa le devo dire?".
La matita si muove veloce tra le mie mani, creando tratti leggeri, fugaci come i miei momenti di lucidità, puri come gli occhi di Luke, scuri come l'inchiostro sotto la mia pelle.
Amore.
So con cosa sto disegnando.
Lo riconosco subito.
"Credo di essermi innamorato".
Le parole scivolano dalle mie labbra proprio come la matita sulla carta, ed i miei occhi non si spostano da essa, cercando di capire il disegno intricato, la trama complessa, cosa ho in testa.
Lo riconosco troppo tardi.
"Di chi, Michael?".
Un sorriso lascia le mie labbra a quella domanda, probabilmente dettato da quell'ultimo barlume di razionalità nella mia testa, quel briciolo di ragione che mi è rimasta, quando sfumo con un dito la matita.
Ho sempre amato sentire la grafite insinuarsi nelle pieghette dei polpastrelli.
Potrà sembrare strano, ma mi dà una sensazione così bella ed appagante che riesce a farmi sentire parte stessa dell'opera d'arte.
Perchè nel mio essere sbagliato, nel mio essere peccato, nel mio essere peccatore, nel mio essere tutto ció che di sbagliato c'è al mio, io sono arte.
Io sono arte esattamente come gli altri.
"Mi sono innamorato di un quadro di Monet".
Non alzo nemmeno lo sguardo sull'uomo davanti a me, sapendo che non ha capito, che non puó capire, che non capirà mai.
Perchè certe cose devo capirle solo io.
E sorrido, oh, se sorrido.
Sorrido felice come un bambino, lucido nella mia follia, continuando a disegnare, imperterrito, tratteggiando e sfumando e cancellando con le dita e creando linee nuove, diverse, intrecciate, curve, dritte.
Linee di un profilo addormentato, un profilo sveglio, un profilo a metà, nascosto dal mondo.
Il mio quadro di Monet.
E nella mia lucida follia, nella mia pazza normalità, lo riconosco subito.
Riconosco con cosa disegno.
Riconosco l'amore.
Che non ho mai provato.
Ma che mi fa sentire così.
Vivo.
Folle.
Lucido.
Lucido nella mia follia, e folle nella mia lucidità.
E piano piano, sul mio foglio, sotto le mie linee, sotto le mie dita, sotto il mio corpo, il mio quadro di Monet prende forma, avvolto nelle lenzuola dal profumo familiare, che non cambio più spesso come prima.
E sano nella mia malattia, alla fine, lo riconosco.
Ho disegnato Luke.
Ho dato forma all'amore.
Ho reso arte l'amore.

Holy || Muke Clemmings Where stories live. Discover now