Chapter 17: House Of Memories

1.4K 228 25
                                    

È strano come alcune volte la pace mi investa.
La mia vita è sempre stato un eterno mare in burrasca, raramente alternata a dei momenti di calma provvisoria.
Ricordi quando studiai Baudelaire. Una frase mi colpí molto, tanto che quel pomeriggio stesso la riportai al mio strizzacervelli.

"La mia giovinezza non fu che una oscura tempesta,

traversata qua e là da soli risplendenti;

tuono e pioggia l'hanno talmente devastata

che non rimane nel mio giardino altro che qualche fiore vermiglio".

Il dottor Fitzgerald probrabilmente non capí nè la frase nè il perchè del sorriso divertito sulle mie labbra, quel giorno, ma fa nulla.
Lui non è nella mia testa!
Può fingere quanto vuole, ma non mi capirà mai.
Non sa cosa succede qua dentro, sa delle crisi, ma non capisce i motivi, lui non le sente.
Non le sente nessuno, solo io.
Questo mi rende matto?
Poco ma sicuro.
Tutti almeno una volta mi hanno preso per matto quasi quanto io reputo matti loro.
Alla fin fine siamo tutti matti e siamo tutti normali.
Siamo tutti meravigliosi e facciamo tutti schifo.
Buffo, l'ossimoro.
Le crisi hanno devastato la mia mente rendendola fragile, come di cristallo, la mia vecchia coperta di Linus ora ridotta a brandelli da tutto il male, da loro, sempre da loro.
Ma loro sono la mia mente.
Loro sono la mia mente di cristallo.
Loro sono...
Calma.
La calma che fa chiudere gli occhi, che spinge a pregare i credenti, che spaventa i peccatori.
Ecco perchè mi mette paura.
Perchè so cosa si cela dietro tutto questo.
Conosco il dolore della crisi. Come ci si sente quando tutto quello che vuoi è strapparti la pelle e far uscire quella cosa, quella malattia, quel virus, te stesso dalle vene, rimanendo apatico, un corpo senza vita.
Ma oh, la calma.
La quiete che sembra quasi torpore in cui sono caduto una volta tornato da casa di Cecilia, quella quiete che mi spinge ad osservare quello che ho creato.
Blu e grigio si mescolano, s'incontrano, si accarezzano, si abbracciano, si stringono fino a stritolarsi, ad uccidersi per il troppo amore.
L'omicidio più delicato del mondo, la morte più bella che si possa desiderare.
Il rosso, il nero, quelle tonalità violente, quasi spaventose sono momentaneamente dimenticate in questa ebbrezza calma, controllata, fatta di occhi chiusi e respiri lenti.
Ancora una volta, ricordo Baudelaire. Ricordo la sera in cui ho studiato quella poesia, quella sera in cui le sue urla mi sembravano ovattate, mi facevano ridere, ridere, ridere.
Quando il giorno dopo avrei provato nuovamente il dolore della crisi.

"Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l'unico problema. Per non sentire l'orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua".

Forse è per questo che cerco una consolazione nell'arte.
L'alcol non è l'unica cosa che riesce a far entrare in quello stato passivo di follia controllata, di sordido piacere voluttuoso.
Anche l'arte, bella, eterna. Semplice.
Amo l'arte, l'arte mia, l'arte degli altri, quell'arte calma, quell'arte violenta, malinconica, erotica.
Quell'arte che calma i miei sensi e che mi fa respirare.
Quell'arte che non fa andare via le voci, ma che abbassa loro il volume, permettendomi di sentirle lontane, di sentirmi quasi pazzo come le persone normali.

Holy || Muke Clemmings Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt