21.

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Il tempo sembra fermo da quando la dottoressa mi ha detto che...
Non riesco neanche a dirlo.
Mi sembra troppo surreale.
Fino a qualche giorno fa ero una schiava sessuale e ora sarò mamma.
Non posso pensare a niente.
Non riesco a non pensare al fatto che Jack non me lo fará tenere.
Esco dalla camere dell'ospedale, di Jack neanche l'ombra. C'è solo Brent che mi aspetta li fuori, seduto a una sedia nel lunghissimo corridoio dalle pareti gialle.
Si alza subito appena mi vede e viene verso di me.
«Cos'ha detto l'infermire signorina?» chiede mentre camminiamo nel corridoio, uscendo dall'ospedale.
Entro in macchina, poso i vari fogli nel sedile posteriore e in poco tempo siamo giá quasi arrivati a casa.
Mi tocco la pancia.
Le lacrime tornato, come sempre ormai.
«Per favore Brent, vai di sopra. Nel mio armadio c'è uno zaino nero, metti dentro della biancheria, qualche maglia e pantalone. Nel cassetto del mio comò c'è il mio portafoglio, prendilo e torna per favore.» dico e lui non esita a farlo.
Torna poco dopo con tutto quello che gli ho chiesto e posa lo zaino nei sedili posteriori.
«Portami all'aereoporto.» dico
Lui mi guarda un po' confuso, ma sale in macchina e mi accompagna.
Insieme al biglietto aereo che abbiamo comprato per andare giorni fa dai genitori di Samantha, ho comprato un biglietto per andare dai miei genitori.
Non sapevo nemmeno se andarci, ma dopo quello che è successo, che è una cosa meravigliosa, non posso stare qui per ora.

Arrivati all'aereoporto, chiedo a Brent, di non dire nulla a Jack, lo chiamerò io nei prossimi giorni, ma sarò io a farlo.
Dopo i vari controlli di routine, salgo sull'aereo.
Il mio posto e vicino al finestrino e quando inizia il decollo, nel tardo pomeriggio di San Francisco, la vista è bellissima.
Cerco di dormire per tutto il viaggio, cosa che non ho fatto per niente in questi giorni.

«Signorina? Signorina? Signorina si svegli. Siamo arrivati.» dice l'ostes, una ragazza alta, magra dai capelli biondi e occhi castani.
Apro gli occhi e l'aereo è deserto.
Mi alzo ed esco, ringraziando la ostes per avermi svegliata.
Come sempre, la ricerca dei bagagli è un'impresa ardua per me.
Appena riconosco il mio bagaglio, lo prendo e vado alla ricerca dell'uscita, e poi di un taxi.
Ho vissuto qui fino ai miei ventunanni, e in ventunanni non sono riuscita a fermare un cavolo di taxi al primo colpo.
Dopo dieci minuti, un taxi si ferma e io salgo a bordo.
Ci vuole circa un ora di taxi ad arrivare fino a casa dei miei genitori.
Arrivo davanti casa loro, mi tremano le mani.
Troppo tempo che non li vedo, che non li sento.
Penseranno che sono una pessima figlia.
Suono al campanello.
Sento la voce di mia madre parlare con mio padre nelle vicinanze.
«Salve, chi cerca?» dice, mia madre distratta come sempre, aprendo la porta.
Il bicchiere che ha in mano gli cade appena mi vede.
«C-ciao mamma» dico
Le spalanca le braccia e mi abbraccia forte.
Scoppia a piangere, e io con lei.
«Amore che succed...» mio padre appare vicino la soglia.
Mi abbraccia forte e io mi sento a casa.
Una parola che mancava da tanto tempo nel mio vocabolario.
Entriamo in casa e io poso lo zaino nella mia vecchia stanza.
La tavola è apparecchiata e mia madre aggiunge un piatto.
Mio padre con le presine, tira fuori dal forno l'arrosto con le patate e lo appoggia su una presina sul tavolo.
Il profumo e delizioso.
Inziamo a cenare e quando addento il primo boccone, mi viene in mente la prima volta che ho cenato a casa di Jack.
«Allora Maddy, come stai?» chiede mia madre, bevendo un sorso d'acqua.
Ah mamma, non potrei stare meglio.
Sono stata la schiava sessuale di un ragazzo, ci siamo innamorati e aspetto un figlio da lui ma lui non lo sa.
Non potrebbe andare meglio, no?
«Bene mamma. Mi siete mancati molto.» dico, finendo il mio piatto.
Il mio telefono squilla e a me viene quasi un colpo.
Lo prendo ma stacco la chiamata e lo spengo.
«Chi è? Perchè non rispondi?» chiede mia madre
«Il mio ragazzo mamma...» dico
«Oddio piccola, sono cosi felice per te. Come si chiama? Quanti anni ha?» chiede
Qualcuno fermi mia madreeee.
«Jack Ryan, venticinquenne, amministratore delegato di un'azienda di San Francisco della quale non ricordo il nome, super miliardario.» dico, pulendomi la bocca con un tovagliolo.
«Aspetta che cosa?!» chiede sbigottita mia madre.
Annuisco e lei rimane di sasso.
È questo è ancora niente. Pensa quando ti dirò che sono incinta.

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