2. Quando tuo fratello fa stupidi scherzi e non gli interessa più vivere

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Capitolo 2 
Quando tuo fratello fa stupidi scherzi e non gli interessa più vivere





«Mick, premi un po' sull'acceleratore» sbuffò Adua, abbassando un altro po' il finestrino. Cacciò un piccolo sospiro di sollievo quando il vento freddo le colpì il volto arrossato.

Il fratello la guardò di traverso, prima di riportare lo sguardo sulla strada. «Che c'è, già inizi a sentire le vampate di calore?» ridacchiò, stringendosi meglio nella giacca come a sottolineare il concetto. Non era poi tanto normale avere tutto questo caldo a marzo, ma Adua non poteva farci niente se sudava sotto la sua maglia. Era agitata, e le sue ghiandole sudoripare dovevano pur sfogarsi in qualche modo.

«È ancora presto, stai tranquilla. E poi nessuno ci soffia il posto» le disse Mick quando la beccò di nuovo a lanciare un'occhiata all'orologio sul cruscotto e, subito sotto, alla velocità. Avevano deciso entrambi che avrebbe guidato lui, perché Adua era un fascio di nervi e il pensiero di mettersi al volante aveva spaventato il fratello – anche se aveva cercato di non darlo a vedere. Per fortuna lei era troppo agitata per accorgersi di ciò, altrimenti gliel'avrebbe rinfacciato a vita.

Dieci minuti dopo – e cinque prima del previsto, visto che Adua gli metteva fretta – arrivarono nel parcheggio dello Stadium, già strapieno nonostante mancasse ancora un po'. Al terzo giro a vuoto Adua decise di scendere dalla macchina e aspettarlo al loro ingresso, mentre Mick cercava parcheggio. Aveva bisogno di sgranchirsi le gambe e l'aria le iniziava a mancare in macchina.

Adua, rilassati, sembri una dodicenne a un concerto, si rimproverò mentalmente. Si comportava come se fosse stata la prima volta che veniva allo stadio, ma non era così. Beh, in effetti le ultime volte che ci era andata risalivano ad almeno sette anni prima, quando il padre prendeva un giorno di permesso per portarla allo stadio; era passato tanto tempo, senza contare che lo Juventus Stadium ancora non era stato costruito, quindi pensò che sì, la sua agitazione era giustificata. Era la prima volta che si trovava lì.

Intorno a lei c'era una marea bianconera di persone, le sciarpe sventolavano e il rumore delle trombette rallegrava l'atmosfera, coprendo di tanto in tanto il chiacchiericcio allegro. Un sorriso le si aprì sul volto, e la sensazione di panico crescente – per cosa, poi? – sembrò attenuarsi, sollevandole il peso dai polmoni. Respirò a fondo, osservando la folla di tifosi che, come lei, erano venuti a supportare e sostenere la Vecchia Signora. Si sentiva in pace con se stessa, si sentiva nel posto giusto, si sentiva a casa.

«Andiamo?» Mick le mise un braccio intorno alle spalle, ricambiando il sorriso che la sorella gli rivolse, e si misero pazientemente in fila aspettando il loro turno per entrare. C'erano centinaia di persone prima di loro, eppure la fila scorreva in fretta.

«Adua, ora che siamo qui mi sembra giusto dirti che ho trovato questi biglietti su un sito di seconda mano, quindi se sono falsi non ne ho assolutamente colpa. L'ho fatto in buona fede» sparò lui tutto di un colpo.

Un brivido di freddo scese lungo la schiena di Adua, che si voltò verso di lui con sguardo assassino. Il brusio della folla e le sue stesse parole vennero inghiottite dal cuore che le martellava nelle orecchie. «Cosa. Hai. Detto?»

Mick restò serio ancora per qualche secondo, prima di piegarsi in due dalle risate. «Sorellina, dovresti vedere la tua faccia! Ma ti pare che io sia tanto stupido da comprare i biglietti da rivenditori non autoriz–»

Non fece in tempo a terminare la frase che la sorella gli diede un pugno sulla spalla, facendolo sobbalzare e massaggiare il punto colpito. «Ma cos'hai nel cervello, segatura? Che razza di scherzi sono?!» sbuffò arrabbiata, avanzando con la fila senza degnarlo di un secondo sguardo. Era lì, a pochi metri dai tornelli, pochi metri da realizzare il suo sogno, e per un attimo aveva temuto davvero che la lucina sul sensore si sarebbe fatta rossa e lei sarebbe stata costretta a tornare a casa con le mani vuote. Solo il pensiero la fece rabbrividire.

«Andiamo, era solo uno scherzo...»

«Divertente come una zanzara alle due di notte, deficiente.» Lo guardò storto, ma non seppe tenere il broncio a lungo. Tutto venne dimenticato nel momento in cui superarono i tornelli e si trovarono sulle scale per la tribuna.

Salite le scale Adua si ritrovò dentro, e i suoi occhi spaziarono per tutto il campo assorbendo quanti più dettagli possibili. Il sole era scomparso dietro le nuvole e i riflettori illuminavano ogni angolo, facendo scintillare i sedili nuovi. Le sembrò passata davanti agli occhi una supernova, con la sua esplosione di luci e di colori, e dopo qualche secondo mise a fuoco i tifosi, la curva, le bandiere e le sciarpe che svolazzavano, i tecnici che correvano a bordo campo, i giornalisti seduti poco sotto di lei, tutto, tutto, tutto. L'immagine le si impresse nel cervello e lì, in quel preciso istante, seppe che nulla l'avrebbe mai potuta emozionare più dell'esperienza di una partita, dello stadio, del calore familiare che circolava tra lei e gli altri quarantamila sconosciuti che erano suoi fratelli, lì per il suo stesso motivo.

Mick le mise delicatamente un braccio intorno ai fianchi, guidandola ai loro posti e non dicendo nulla per lasciare che la sua sorellina si godesse lo spettacolo. Sapeva l'effetto che faceva lo Stadium, e amava la meraviglia che leggeva negli occhi della sorella alla vista di tutto ciò.

Lo stadio era gremito, nessun posto libero, quando due ore dopo le luci iniziarono a sfarfallare e la musichetta della Champions risuonò in tutto lo stadio come se stesse rombando nel loro stesso petto. Adua era riuscita a trattenere le lacrime fino ad allora, evitando che le strisce bianconere disegnate sulle sue guance potessero colare. Le telecamere iniziarono a muoversi freneticamente a bordo campo, e anche poco sotto di lei, riprendendo la tribuna e i suoi giornalisti, riprendendo Andrea Agnelli, alzandosi di poco e riprendendo la sua zona, i tifosi ai suoi fianchi, gli altri sulle tribune.

Abbracciò Mick di slancio, grata per il suo regalo e per quei fantastici posti che di sicuro gli erano costati tantissimo, e prese a sventolare la sua sciarpa comprata fuori. Il pensiero amaro di non avere una maglia bianconera da indossare le attraversò la mente per un attimo, prima di liquidarlo con la decisione che si sarebbe presto fatta un regalo.

Le squadre uscirono finalmente sul campo con i bambini al loro fianco, salutando di tanto in tanto i tifosi, e lì Adua non riuscì a trattenersi. Le lacrime le bagnarono le guance quando vide la sua squadra, la sua Juve, e ricambiò come una matta i loro saluti pur consapevole che non potevano vederla.

Ricambiò il sorrisone di Paulo Dybala, lo stomaco stretto in una morsa, gli occhi colmi della gioia più grande che avesse mai provato.


Holaaa.
Ecco il secondo capitolo :) Gli aggiornamenti saranno settimanali, ogni martedì, e se ci sarà un imprevisto all'ultimo momento avviserò a tempo debito. Però spero quanto voi che non succeda ahaha
Fatemi sapere cosa ne pensaaaate. besos besos besos

The Mask | Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora