17. Dammi un pallone e ti dirò chi sei

10K 300 26
                                    


Capitolo 17
 Dammi un pallone e ti dirò chi sei






«Ho visto che hai seguito il mio consiglio sul vestirti comoda» Paulo le disse, tenendo lo sguardo fisso sulla strada davanti a sé.

Il giorno prima il ragazzo le aveva scritto per chiederle di uscire, e Adua aveva accettato di slancio. Aveva pensato di chiederlo lei per prima, ma aveva paura di un rifiuto; i giorni erano passati senza che trovasse il coraggio, quando il martedì Paulo l'aveva scritta. L'argentino aveva aggiunto un criptico "vestiti comoda" e Adua senza pensarci due volte aveva seguito il consiglio, curiosa fino alle ossa su cosa il ragazzo avesse in mente. Aveva optato per un leggings, comodo ma non troppo trasandato, e le scarpe da ginnastica che era solita mettere; non era il tipo da indossare scarpe alte a meno che non ce ne fosse stata l'occasione.

Paulo le era venuto incontro alla stazione di Torino, dopo che Adua gli aveva fatto promettere di non venire a prenderla a casa – non sapeva perché il ragazzo insistesse tanto, ma si sentiva a disagio all'idea di vederlo sotto casa come se fosse un appuntamento; senza contare che preferiva non far circolare voci di una Maserati che girava per Collegno – e ora si trovavano in macchina diretti da qualche parte. Lui non l'aveva rivelato, e lei non aveva insistito; gli piaceva lasciarla sulle spine, e in parte anche lei trovava la cosa elettrizzante.

«Già. Avevo pensato di chiederti il perché, ma ho pensato che non me l'avresti detto.»

Lui le lanciò un'occhiata, sorridendo. «Mi conosci già così bene, Adua Romeo?» La ragazza arrossì, ma non rispose.

Il viaggio non durò molto; Paulo parcheggiò l'auto ed entrambi scesero. Adua si accorse di essere davanti al cancello di un parco. L'insegna in lettere metalliche leggeva "Parco della Pellerina".

«Una passeggiata al parco?» gli chiese curiosa; l'idea le piaceva, ma non vedeva la necessità di vestirsi comoda.

«Meglio.» Ammiccò, prendendo un borsone dal cofano e chiudendo la macchina. Adua lo guardò interrogativa, ma non avrebbe trovato risposta finché lui non avesse deciso che fosse giunto il momento.

Entrarono nel grande parco camminando l'una accanto all'altro, senza dire niente. Non era molto affollato; qualcuno portava a passeggio il cane, qualcun altro come loro passeggiava godendosi l'aria fresca, ma Adua suppose che il fatto di essere dalla parte opposta del centro di Torino non lo rendesse molto frequentato, specialmente in aprile. I due lasciarono ben presto il sentiero per camminare sull'erba, tra gli alberi, e Adua si godette il bellissimo momento con un sorriso sul volto, fin quando Paulo non si fermò e lasciò cadere il borsone sul terreno.

«Allora, mi dici che ci facciamo qui?» chiese, non riuscendo a contenere la curiosità ancora per molto.

«Sai, quando abbiamo parlato due settimane fa al Monte dei Cappuccini, mi è venuta in mente quest'idea. Non sono riuscita a togliermela dalla testa; più ci pensavo e più mi convincevo ti avrebbe fatto piacere.» Senza guardarla negli occhi aprì il borsone, cacciando un pallone da calcio.

Gli occhi di Adua iniziarono a pizzicare, la vista ad annebbiarsi. «Facciamo una partita?»

Lui annuì. «Ti va?» Improvvisamente sembrò incerto; l'aria smarrita lo rendeva tremendamente tenero.

Adua sentì che qualunque cosa avesse detto, non sarebbe mai riuscita a spiegargli quanto contasse per lei. «Sì.»

Lui fece un sorriso enorme, che la ragazza ricambiò, e poi posizionò a terra due coni per delimitare l'area della porta. «Solo perché sei femmina non vuol dire che mi tratterrò» la avvisò giocosamente.

The Mask | Paulo DybalaWhere stories live. Discover now