37. Perdersi e ritrovarsi

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Ascoltate la canzone in loop. Buona lettura x


Capitolo 37
Perdersi e ritrovarsi











           

Gli ultimi due giorni erano stati per Adua un vero e proprio inferno sulla terra.

Le quarantottore erano passate lentamente, scandite solamente dal rumore fastidioso delle lancette e dalle capatine che la ragazza faceva al bagno quando proprio non riusciva più a trattenersela. Due giorni in cui non aveva visto la luce del sole, non aveva respirato aria che non fosse quella viziata della sua camera e in cui non aveva mai smesso di piangere, accumulando fazzoletti su fazzoletti nel cestino ormai strapieno. Paulo non aveva mai smesso di chiamarla o di scriverle messaggi, che lei puntualmente ignorava, e l'unico sollievo le era arrivato un giorno e mezzo dopo, quando la batteria era morta e lei si era rifiutata di metterla sotto carica.

In quelle ore infernali Adua non poteva far altro che fissare il vuoto e pensare, pensare, pensare anche troppo per i suoi gusti. Una parte di lei si chiedeva come mai Paulo la cercasse, quando Antonella le aveva detto chiaro e tondo che non si sarebbe fatto vivo, ma il resto del suo cervello cercava con tutte le sue forze di rinchiudere la questione a chiave in una cassaforte e gettarla nell'oceano.

Era come atrofizzata. Mangiava poco, beveva un sacco, piangeva il doppio. Paulo si sarebbe sposato e tutto quello che c'era stato tra loro era stata una gigantesca presa per il culo. E lei non era riuscita a capirlo prima.

L'ennesima chiamata, la cinquantasettesima per la precisione, la colse in stato di contemplazione seduta su una panchina a Monte dei Cappuccini. Il terzo giorno aveva deciso di uscire, sperando che un cambio di panorama potesse servire a sollevarle il morale, così si era trascinata in auto fino al belvedere – il cellulare, stavolta carico, nella borsa. Questa volta rifiutò la telefonata invece di lasciare che il telefono squillasse a vuoto, e con un sospiro tornò a fissare il panorama che le si presentava davanti agli occhi. Monte dei Cappuccini era così bello e rilassante in quel caldo pomeriggio di giugno, eppure era un posto così amaro, impregnato di tutti i ricordi che Adua aveva del ragazzo. Ma aveva ragione Paulo quando diceva che era il posto perfetto per stare da soli e pensare, e nonostante ogni cosa accanto a lei gridasse il suo nome la voglia di perdersi in quella vista era più forte di qualunque malinconico ricordo.

La ragazza si premette le mani sul viso, e nulla rivelava il suo stato d'animo se non le spalle che sussultavano, portando via col loro movimento le ennesime lacrime della giornata, che scivolavano docili tra le sue dita serrate. Il suono dei suoi singhiozzi era l'unico rumore che spezzava quel silenzio verde, fatto di foglie fruscianti e cinguettii di uccelli, fin quando uno stridore di freni sull'acciottolato non la fece trasalire.

Alzò lo sguardo di scatto, la bocca semiaperta dalla sorpresa, giusto in tempo per vedere una portiera sbattere e un ragazzo correre verso di lei.

«Adua

Una semplice parola sussurrata che ebbe per Adua la stessa forza di un uragano; Paulo si avvicinò frenetico alla ragazza, prima di incrociare il suo sguardo lucido e spaventato – questo bastò a fargli mancare il coraggio e a far vacillare il suo passo sicuro.

«Che ci fai qui?» La ragazza aveva la voce flebile di chi ha ormai abbandonato ogni speranza, e la cosa spezzò il cuore all'argentino.

Non capiva cosa stesse succedendo, e quindi non sapeva che fare. «Questo è il mio posto per pensare, ricordi?»

Capì che la scelta di sdrammatizzare era stata pessima quando vide la sua reazione. «È tutto tuo.» Adua si alzò di scatto, prendendo la borsa al suo fianco e facendo per andarsene, lasciando Paulo di stucco.

The Mask | Paulo DybalaWhere stories live. Discover now