34. Sotterrare l'ascia di guerra? Io l'ascia te la do in testa!

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Capitolo 34
Sotterrare l'ascia di guerra? Io l'ascia te la do in testa!











           

Ormai il singhiozzare di Adua si era trasformato in un quieto pianto, mentre stringeva a sé il cuscino che aveva tra le mani.

«Piccola, non fare così. Non riesco a vederti in queste condizioni.» Vanessa le appoggiò delicatamente una mano sul ginocchio; davvero le si stringeva il petto a vederla così.

Quel pomeriggio Adua era in camera sua a perdere tempo su internet quando aveva scoperto le foto; poi era piombata a casa di Vanessa senza neanche pensarci, troppo scossa per capire cosa stesse facendo. L'amica l'aveva accolta con un abbraccio da spezzare le ossa, e si erano chiuse in camera della bionda da ormai qualche ora.

«L-lo so. È che non p-posso farci niente» balbettò Adua, asciugandosi l'ennesima lacrima dal volto. L'amica le passò un fazzoletto, che prese.

«Non riesco a crederci, non me lo sarei mai aspettato» fece l'amica.

«Lo dici a me? Mi ha distrutta. – Si soffiò rumorosamente il naso. – Sai qual è la cosa che mi fa più rabbia? È che io mi sono fidata, cazzo, mi sono fidata dopo che mi aveva già fatto male una volta. Gli ho dato una seconda possibilità e lui si è approfittato di me. Dio, che cogliona che sono.» Scosse la testa.

«Non è vero, non lo sei. Chiunque avrebbe fatto come te al tuo posto» tentò di consolarla Vanessa.

Adua sembrò non aver neanche sentito. «Ti rendi conto di quel che è successo? Sono stata con lui, Vane, siamo stati insieme nemmeno due giorni fa e adesso lui va a prendere Antonella all'aeroporto e l'abbraccia come se gli fosse mancata come l'aria. Te lo giuro non so se essere più incazzata con lui in questo momento o con me, che ci sono cascata con tutti i piedi come una povera demente.»

Vanessa non sapeva che dire, consapevole che finte rassicurazioni non servissero a niente, e quindi la lasciò sfogare. «Era quello che voleva da me fin dall'inizio. Voleva portarmi a letto e basta. Ora lo so, ma non mi serve più a niente francamente» mormorò amareggiata.

Eppure mentre diceva quelle parole Adua pensava ai loro appuntamenti, a tutte le volte che erano usciti insieme, alle loro lunghe chiacchierate. Il loro primo incontro in un bar di Genova, in cui si era mostrato così premuroso ed emozionato quasi quanto lei; i messaggini stupidi sul cellulare che si scambiavano; la gita a Monte dei Cappuccini, in cui lei si era lasciata andare così tanto sulla sua vita e poteva giurare che lui avesse compreso ogni singola parola, ogni significato nascosto. La partita a calcio nel Parco della Pellerina, il pomeriggio in cui lui aveva tentato di baciarla per la prima volta e Adua si era sentita tra le nuvole; e poi il modo in cui aveva tenuto testa a suo padre, la cena a casa, i biglietti della partita e il loro primo appuntamento e tremila altre cose che avevano fatto nel giro di pochi mesi, ma che bastavano per una vita intera. Adua non poteva fare a meno di pensare di aver vissuto più con lui, di essersi emozionata e di aver provato esperienze nuove e sconvolgenti più con lui di quanto avesse fatto in venti anni di vita. E tutto quello Paulo non poteva averlo fatto solo per portarla a letto, perché non era da lui, perché pensava di conoscerlo almeno un po' dopo il tempo passato insieme. Ma forse si era sempre sbagliata.

Vanessa le rimase accanto per un tempo lunghissimo, lasciandola parlare e di tanto in tanto dandole qualche parola di conforto; si alzò quando bussarono alla porta di casa. Adua la guardò uscire dalla camera, un improvviso moto di affetto per lei, e quando ritornò c'era anche suo fratello Mick, in piedi sulla soglia.

Adua gli lanciò un'occhiata. «Te l'ha detto Vanessa? Non volevo farti preoccupare, non è nulla.»

Mick notò le sue guance ancora bagnate dalle lacrime e i fazzoletti sparsi sul comodino. «No, che è successo?» chiese con tono allarmato. Vedendo che l'amica non aveva la forza di riparlarne, Vanessa gli raccontò a grandi linee, gesticolando animatamente.

The Mask | Paulo DybalaWhere stories live. Discover now