15. Ogni buona confessione ha bisogno di una birra

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Capitolo 15
Ogni buona confessione ha bisogno di una birra





L'orologio segnava le sei in punto, e Adua si lasciò distrarre dal rumore delle lancette prima di scuotere la testa.

La ragazza sedeva sulla poltrona verde del soggiorno, quella vicino alla vetrata, un libro sulle gambe e una tazza di tè sul tavolino lì accanto. Quel giorno non aveva lezioni e non si sarebbe mai perdonata se l'avesse sprecato invece di aprire i libri, quindi dopo pranzo si era seduta comoda sulla sua poltrona preferita e non si era ancora alzata. Mosse per l'ennesima volta le gambe che urlavano di sgranchirsi, senza mai staccare gli occhi dal paragrafo; gli occhiali che usava per riposo le scivolarono sul naso, e con un gesto fluido li mise a posto.

Era intenta a sottolineare un concetto particolarmente difficile quando la porta di ingresso si aprì e si richiuse; dopo qualche secondo il padre entrò nella stanza, e quando la vide le si avvicinò. Le diede un bacio sui capelli e si sedette sulla poltrona al suo fianco, senza accennare a voler accendere la TV, cosa che di solito faceva.

«Com'è andata oggi, papà?» gli chiese, posando la matita nel libro per tenere il segno e poi chiudendolo.

Andrea Romeo possedeva un piccolo ferramenta a Collegno, il genere di attività che in una piccola cittadina era una sorta di punto fermo, dove tutti si recavano perché conoscevano il proprietario, e conoscevano suo padre, e conoscevano tutta la loro famiglia. Inizialmente il nonno di Adua aveva aperto a Torino, ma l'affitto era alto e la competizione rendeva difficili gli affari, quindi si era spostato molto giovane nella città natale della madre, la bisnonna di Adua. Dopo cinquant'anni il negozio era ormai un punto di riferimento in quella realtà che sembrava protetta da una bolla dai mutamenti del mondo esterno. Adua era certa che la gestione del locale sarebbe stata tramandata nella loro famiglia ancora a lungo, eppure il padre aveva accettato a malincuore che né lei né il fratello avevano intenzione di seguire i suoi passi e ammuffire in quel luogo; sapeva che la loro generazione avrebbe saltato quel rito, e a meno che i loro figli non desideravano ricongiungersi alle origini – Adua sperava per loro di no – la migliore soluzione era quella di assumere impiegati o dare in gestione. Lui tentava in tutti i modi di non pensare alla questione, illudendosi di poter portare avanti l'attività fino a quando i suoi nipoti non l'avrebbero reclamata, e Adua non aveva nessun interesse nel rovinargli quel sogno.

«Tutto bene, ho lasciato Tommaso a finire le ultime commissioni e chiudere.» Tommaso era un impiegato che il padre aveva assunto da qualche annetto, dopo aver capito che Mick non l'avrebbe affiancato nella gestione; i primi tempi era molto scettico all'idea di condividere il suo spazio con un estraneo, ma adesso nonostante facesse ancora il burbero Adua sapeva che si era ammorbidito nei suoi confronti.

«Puoi accendere la TV se vuoi, continuo in camera mia» gli disse, facendo per alzarsi.

«No, aspetta! – Adua lo guardò con curiosità e si risedette, aspettando che continuasse. – Tu, ehm, che fai, studi?» Indicò il libro che aveva sulle gambe.

«Sì, sto preparando il prossimo esame» rispose, e non aggiunse altro. Sapeva che voleva chiederle qualcosa, quindi aspettò senza mettergli fretta.

«Come va all'università? Ti sei fatta qualche amico particolare?» Adua si aspettava una domanda del genere dalla madre, sempre curiosa sui suoi amici, ma non da lui; non sapeva che quel "particolare" aveva un altro significato.

The Mask | Paulo DybalaWhere stories live. Discover now