3. Bella questa maglia sporca, la posso avere?

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Capitolo 3
Bella questa maglia sporca, la posso avere?






«Oh, andiamo, andiamo!» urlò Adua in preda al nervoso. Il secondo tempo era iniziato da poco, e la partita era ancora ferma sullo 0-0. I ragazzi sembravano distratti, scoordinati, nel momento in cui uno aveva la palla si trovava isolato dagli altri e inevitabilmente il Porto riusciva ad approfittarsene. Il grande Gigi aveva parato già tre tiri ed evitato che ce ne fosse un quarto, e Adua non sapeva quanto ancora potesse resistere.

Il modulo era sbagliato, era chiaro. Higuain in punta era praticamente solo, con il risultato che appena prendeva palla la difesa avversaria lo accerchiava. Dopo i primi 45 minuti di gioco il tifo sfrenato si era ridotto ad un mormorio basso ed indistinto, come se la gente avesse perso la giusta carica. Non Adua, e nemmeno suo fratello Mick; sapevano entrambi che la migliore Juventus veniva fuori alla metà del secondo tempo, quando tutto sembrava perduto, pronta a ribaltare le carte in tavola.

Ecco che infatti Allegri chiamò una sostituzione, facendo entrare il fenomenale Cuadrado: Adua era convinta che la sua presenza avrebbe riportato spirito alla squadra. Cuadrado era una sagoma, e soprattutto un mago con i piedi: tutto quello di cui c'era bisogno in quel momento.

Il gioco riprese, e più passavano i minuti più il morale crebbe: eccola ritornata, la Juve combattiva che tutti conoscevano, la Juve che non era disposta a finire una partita con reti inviolate. Alex Sandro riuscì a soffiare la palla a Neves, che era già pronto a spedirla dall'altra parte del campo all'attaccante Silva, e in uno dei suoi famosi sprint la passò a Cuadrado, che con i suoi piedi magici riuscì da solo contro due ad evitare che la palla superasse la linea laterale. Con un agile tunnel riprese la palla dall'altro lato degli avversari, che erano rimasti spiazzati, e con un calcio pulito e dritto passò la palla a Paulo Dybala.

«Oh, cazzo» imprecò distrattamente Adua, cercando al suo fianco la mano del fratello e stringendogliela in una presa ferrea. Il cuore stava per scoppiarle e non staccò gli occhi dal suo mito, i secondi che si dilatavano sempre più e sembravano non passare mai. Il numero ventuno dribblò abilmente Telles, senza mai perdere la palla scansò con un salto Pereira che si era tuffato ed ecco che lì da solo, davanti la porta, il suo sinistro micidiale la mise in rete.

«Gooooooaaal! Sì, andiamo!» Lo stadio esplose in grida di giubilo, un boato tanto assordante da far tremare il cuore alla ragazza, e le lacrime di gioia le rigavano le guance quando gli altoparlanti iniziarono il classico tifo "Col numero ventuno, Paulo..."

«Dybala!»

"Paulo..." «Dybala!»

"Paulo..." «Dybala!»

Il ragazzo corse verso la sua curva scivolando sulle ginocchia e urlando di gioia, con la mano portata verso il volto nella sua famosissima maschera. Adua rideva e saltellava quando una delle telecamere in tribuna sembrò riprendere proprio nella sua direzione, e senza perdere il sorriso imitò la Dybala Mask fissando dritto dentro l'obbiettivo. Il suo volto venne ripreso e mandato dopo pochi secondi sui maxischermi dello stadio, e il suo cuore perse un battito a vedersi lì sopra. Pensava che questo fosse il culmine della felicità, non sapendo minimamente che nel frattempo sul campo il numero ventuno osservava il maxischermo, sorridendo a quella ragazza che aveva imitato il suo gesto per mostrargli il suo supporto.

Tutto l'amore dei tifosi gli diede carica, la carica che gli serviva quando, dopo essere stato scelto per battere un calcio di punizione a 20 metri dalla porta, decise di lanciare dritto davanti a sé invece che a Pjanić che lo guardava da sinistra: il pallone proseguì dritto sulle teste dei giocatori del Porto schierati in difesa, virando all'improvviso a destra come se fosse stato colpito da un soffio di vento, per poi superare le mani del portiere e cadere nell'angolo più basso della porta, tra le urla dello stadio.

Gli amici gli saltarono sulle spalle, senza lasciargli neanche il tempo di fare il suo gesto, eppure il numero ventuno non se ne preoccupò perché sapeva che qualcuno sugli spalti lo stava facendo per lui.

Adua dal suo posto saltava e si sgolava, asciugandosi le lacrime dagli occhi e abbracciando di slancio Mick e un signore che aveva affianco: se ci avesse ripensato dopo si sarebbe imbarazzata, ma in quel momento erano tutti fratelli, erano tutti sotto lo stesso tetto, e soprattutto facevano parte tutti della stessa famiglia.

La partita finì dopo tre minuti di recupero, il risultato fisso sul 2-0 grazie alla fantastica doppietta dell'attaccante argentino.

«Vamos ai quarti di Champions!» urlò Mick, sbandierando la sua sciarpa come un forsennato. Adua rise ai suoi tentativi di parlare spagnolo, e fece per dirgli qualcosa ma si accorse di essere senza voce.

«Qualcuno qui si è sgolata troppo dietro il suo Paulito» la prese in giro lui, meritandosi una gomitata nelle costole. A difesa di Adua c'era da dire che non era stata troppo forte.

«Mick, io vado giù» riuscì a dire al terzo tentativo, indicando con i gesti il limitare del campo per farsi capire meglio. I loro posti in tribuna erano fantastici, e scendendo le scale Adua si sarebbe ritrovata dietro la transenna dove di solito i ragazzi si avvicinavano per salutare i tifosi. Il fratello le fece segno di avviarsi e che l'avrebbe raggiunta subito, iniziando a prendere i loro giubbini e gli zaini, mentre Adua praticamente volò per le scale e riuscì a trovare una buona posizione. Higuain e Bonucci le passarono davanti, salutando la gente che era lì per riuscire a strappare loro uno sguardo, e poi si diressero negli spogliatoi. Dybala aveva appena finito di lasciare una dichiarazione ai giornalisti – sicuramente sulla sua fantastica doppietta – e si diresse verso loro, un sorriso rilassato sulle labbra.

Adua lo aveva praticamente a due passi, e se glielo avessero detto avrebbe pensato che sicuramente si sarebbe sgolata per attirare la sua attenzione; invece la ragazza era stranamente silenziosa, si limitava ad osservare coi suoi occhioni marroni l'argentino che distribuiva sorrisi e strette di mano, troppo incredula per realizzare cosa le stesse succedendo.

«Grazie ragazzi per il vostro tifo, è tutto merito vostro se abbiamo vinto. Ve la meritate!» Paulo si tolse la maglia con un gesto fluido, appallottolandola al meglio e lanciandola a caso alla sua destra.

Adua si era appena spostata per cercare di avere una visuale migliore sul ragazzo quando qualcosa di bagnato e con un forte odore le piombò in faccia, cadendo sulle sue mani che si erano aperte per raccoglierla. Le parole le morirono in gola quando poggiò lo sguardo su ciò che aveva tra le mani, il suo fagotto bianco e nero, il suo dono macchiato di terra ed erba, il suo tesoro. Quando alzò lo sguardo Paulo le dava già le spalle, diretto verso gli spogliatoi con gli altri, e Adua si domandò distrattamente se dopo tutte le sorprese che aveva avuto potesse esserci qualcosa di ancora più bello ad attenderla.


BOO-YAH!
Spero vi sia piaciuta la telecronaca, io mi sono divertita un mondo a scriverla e infatti ce ne saranno altre!! :')
Stellinatee!Besos
ps: nel prossimo capitolo le cose si fanno serie!!

The Mask | Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora