Blue eyes, Romeo

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NdA:

Ammetto che lo sto mettendo di proposito all'inizio giusto per farvi perdere un altro po' di tempo, come se non aveste già atteso abbastanza; mi scuso tantissimo per il ritardo e vi ringrazio per la pazienza, per la comprensione ed il tempo che dedicate alla storia.
Vi lascio al cringe delle mie storie.



-Il bambino cresce a vista d'occhio, presto potrai portarlo a casa.- le assicurò l'infermiera mentre Adriel guardava il figlio da oltre il vetro.

Erano passati dieci giorni, ancora nessuno aveva saputo del parto. Adriel era stata dimessa due giorni dopo il parto e da allora veniva ogni pomeriggio a guardare suo figlio, non appena usciva dall'ospedale contava le ore che la separavano dal rivederlo. Le pareva di provare un dolore fisico quando doveva separarsi da lui, camminava lentamente e strisciando i piedi per terra come se quei mezzucci potessero aiutarla in qualche modo a passare più tempo con il suo bambino; in realtà aumentavano solo la sua già profonda agonia.

Quando non era all'ospedale stava nell'appartamento con Dante. Teoricamente dormivano in stanza separate ma in pratica l'uomo s'infilava nel suo letto ogni notte dicendo che quando il bambino sarebbe arrivato non avrebbero avuto il tempo per dormire come si deve.

Eppure, il sonno arrivava raramente a fargli visita, passavano quasi tutte le notti a parlare fino all'alba. Bisbigliavano. Lui le raccontava del lavoro e lei gli parlava del bambino di come cresceva sano, non vedeva l'ora di poterlo tenere in braccio ed essere lei a dargli da mangiare.
Gli aveva anche raccontato che continuava a perdere latte dal seno e le situazioni imbarazzanti in cui era finita perchè la maglietta le si era bagnata tutta appiccicandosi alla pelle e facendole ricevere occhiate indiscrete da chiunque le fosse intorno.

Giorno dopo giorno era sempre più rilassata, Leda si era licenziata dopo che le voci si erano sparse velocemente per tutta la società e ora Dante era costretto a organizzarsi da solo mentre Pansy era incaricata di trovargli un segretario.

Adriel chiamava spesso anche la zia e la nonna, raccontava un po' di tutto tranne del bambino, era dura non aprirsi completamente con loro ma ce la stava facendo.
Ancora un po' di tempo. Si ripeteva ogni volta che spegneva la telefonata.
Fra le altre cose, Dante le aveva restituito gli anelli ma si era rifiutata di indossarli nuovamente, magari un giorno, più in là...





-Dante ti ripeto che non chiamerò mio figlio Ignazio.- disse Adriel per l'ennesima volta.
-Ma è un bel nome! E' italiano.-
-Non hai proprio gusto.- lo prese in giro lei arricciando il naso.
-Perchè? Tu hai qualcosa di meglio in mente?-
-Al momento no, ma mi piacerebbe un nome un po'più... poetico, ecco.- gli confessò.
-Allora chiamalo Pushkin.-
-Aleksandr è un bel nome in effetti.-

-Non ti permetterò di chiamare mio figlio Aleksandr.- rispose Dante un po' piccato.
-Prima di tutto non è certo che sia tuo figlio.- iniziò Adriel.
-Lo è.-
-Potrebbe non ess...-
-Lo è. E anche se non lo fosse, lo è.- tagliò corto il biondo, non aveva mai espresso quel pensiero ad alta voce e quelle parole adesso suonavano un po' insensate anche a lui.

Adriel sbattè le palpebre un paio di volte, era piacevolmente stupita. Sorrise dolcemente per poi prenderlo in giro.

-Rosewain sei un tale pallone gonfiato ed egoista che non accetti l'idea che qualcosa non possa essere tuo.- scherzò.

Dante alzò gli occhi al cielo pizzicandole un braccio.

-Vedrai anche tu che ho ragione.-


Finalmente, due settimane dopo, Adriel potè prendere in braccio suo figlio per la prima volta.

Il piccolo si era messo a piangere nel momento in cui lei e Dante erano arrivati davanti all'incubatrice.
Era cresciuto e tanto anche. Una delle infermiere l'aveva informata che aveva superato 1 chilo e 300 grammi, gli organi si erano quasi del tutto sviluppati e, superati i 2 chili avrebbe finalmente potuto portarselo a casa.

The gold diggerWhere stories live. Discover now