19. Heaven and hell

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(Sad to see you go)
Was sorta hoping that you'd stay
(Baby, we both know)
That the nights were mainly made
For saying things that you can't say tomorrow day
Arctic Monkeys, Do I wanna know

Era come se la catena che l'aveva trattenuta fino a quel momento si fosse spezzata, lasciandola libera di seguire quella forza, quella attrazione, che la spingeva verso di lui.
Perché quando lo aveva incontrato la prima volta, lui l'aveva guardata con quegli occhi verdi sprezzanti, pronto a sfidarla. E così era stato da allora, da quando aveva solo quindici anni, ogni volta che lui era tornato sulla strada della sua vita.
Ma la vera sfida, per loro, era stata cercare di restare il più lontano possibile l'uno dall'altra. Tra tutti gli istinti umani, due prevalgono su tutti e allo stesso tempo si incatenano: la rabbia e il sesso. E loro due si erano sempre scontrati, sempre odiati, avevano sempre trovato un pretesto per mandarsele a dire, avevano sempre trovato parole pungenti per far sì che l'altro istinto non prendesse il sopravvento.
Ma non poteva durare per sempre. Marika sentì che quelle catene si erano rotte nel momento in cui lui l'aveva lasciata lì, nell'affollatissimo Amber Lounge, dopo averle sussurrato quelle parole. Non riuscì più a pensare a cosa era giusto e cosa era sbagliato, non riuscì più a pensare che non poteva abbandonare la sua festa, che lui era il suo compagno di squadra, che loro potevano solo odiarsi e far finta di essere amici. Riusciva a pensare solo alla mancanza del contatto con lui, alla mancanza di quel suo calore sulla schiena, di quei brividi che lui gli aveva provocato, respirandole addosso.
Era come se, al posto di quelle catene ormai spezzate, che l'avevano trattenuta fino ad allora, ci fosse un'altra forza, adesso, che la tirava: prima verso l'ascensore, poi verso quel corridoio, in cerca di quelle tre cifre su una porta che la separavano da colui che la stava attraendo.
Fernando Alonso era diventata la sua calamita, e forse lo era già prima, quando lui la richiamava con lo sguardo, e la stava già fissando da chissà quanto.
Se in Cina, la rabbia e la passione si erano mischiate, formando una foschia attraverso cui lei non riusciva a fare chiarezza, stavolta non c'era niente ad offuscarle la vista.
C'era solo lui, sorpreso, sulla soglia della sua stanza, lui, che aveva sperato che lei arrivasse e aveva sperato anche il contrario, lui, che l'aveva attirata fin li, lui, la sua calamita.

Quando quella forza attrattiva le diede la spinta finale, il primo contatto che ebbe con lui fu prima sul suo polso, mentre lui la attirava a se, come se fosse aria pronta ad entrare nei suoi polmoni, ma si fermarono solo alle labbra, che si unirono, ritrovando un incastro perfetto che lei non aveva notato, in Cina, perché la nebbia aveva offuscato tutto.
Marika si accorse a malapena della porta che sbatteva, di aver lasciato cadere la pochette sul pavimento, di aver sbattuto la testa contro la porta, perché lui ce l'aveva spinta contro.
Ma non le importava.
L'unica cosa che le importava erano le sue labbra, quelle labbra che non volevano proprio saperne di staccarsi da lei, per fortuna, mentre le sue mani correvano tra i suoi capelli, per non lasciargli via di scampo.
Non le importava del suo costosissimo vestito, che lui le stava sollevando sulle cosce.
Fernando fece presa sui suoi fianchi, e le sue gambe lo strinsero il più possibile, spingendo la sua erezione su di lei.
La reazione in entrambi fu istantanea: come un fuoco divampato che non può essere spento. Chi se ne importava se accanto c'era un letto ad attenderli, chi se ne importava se lei continuava a sbattere contro la porta, chi se ne importava di riprendere fiato, quando entrambi sentivano quanto si volevano e quando non potevano aspettare.

La prima volta fu sorprendente, inaspettato, scomodo.
Ma a loro non importava.
A Marika non importava che la parte superiore del suo vestito le fosse scivolata lungo le braccia, ed ora il suo costosissimo abito di Armani le si arrotolava appena sopra i fianchi, lasciandola completamente nuda; non le importava della sua biancheria, che era finita a brandelli, perché, se non l'avesse fatto lui, l'avrebbe strappata lei stessa pur di non allontanarsi da lui.
Le importava delle sue mani sui suoi seni, che si adattavano, ancora, in un incastro perfetto, come se fossero state fatte apposta per quello; un incastro che lei non aveva notato, in Cina, per la nebbia, ma sapeva che stavolta nulla li avrebbe separati. Le importava solo dei brividi che ogni suo tocco le provocava sulla pelle.
Fernando ci mise pochi secondi a capire che era pronta, a capire che non poteva aspettare, che non potevano aspettare.
Ebbe un solo momento di esitazione, quando si staccò a forza da lei, quasi chiedendole il permesso. Lei, per tutta risposta, lo strinse ancora di più con le gambe, tirandolo verso di lei, quando gli aveva già slacciato i pantaloni. "Devo prendere il.." Fernando sussurrò mentre lei lo spingeva nuovamente verso la sua bocca.
"Pillola." Mugugnò lei, spingendo di nuovo le labbra sulle sue.
"Si, ma..."
"Non ho malattie, muoviti!" Ansimò.
Entrò dentro di lei così inaspettatamente, così sorprendentemente, con un incastro perfetto che li disorientò per un attimo.
A Fernando non importava che lei lo tenesse in quella morsa d'acciaio tra le sue braccia, non gli importava se gli stava strappando la camicia di dosso, con più di un bottone ormai sparso sul pavimento, non gli importava se doveva ricordarsi di mantenere l'equilibrio.
Pelle contro pelle, entrambi provarono una sensazione sconosciuta, come due pezzi di un puzzle che si ritrovano dopo essere stati dispersi per anni.
Quella forza attrattiva che li legava era ormai troppo forte per resistere, troppo forte per pensare ai preliminari. Era troppo forte per non entrare subito uno nell'altra.
Fu veloce, fu scomodo, fu sorprendente, fu intenso, fu come entrare in paradiso.

I hate you I love you ~ Fernando AlonsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora