"Put me down!"

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Fu Steve la prima persona che vidi, quando aprii gli occhi. Avevo il battito accelerato e il respiro corto, i capelli erano incollati alla fronte sudata e le lenzuola erano arrotolate alla fine del letto. Mi ci volle qualche secondo per capire che ero nella mia stanza ma riuscii velocemente a superare quel momento di confusione.
«Stai bene?» domandò, preoccupato. Mi tirai su e inarcai un sopracciglio, poi lanciai uno sguardo all'orologio appeso alla parete: segnava le cinque del mattino.
«Cos'è successo?» chiesi, confusa. Nat e Wanda varcarono la soglia in quel preciso istante, entrambe pallide in viso, in pigiama e strette in un unico plaid.
«Hai urlato...molto.» spiegò Steve, sedendosi sul letto. Il materasso si piegò sotto il suo peso spingendomi irrimediabilmente verso di lui. Avevo urlato? Quello probabilmente spiegava il fiato corto, ma il battito?
«Mi dispiace... non volevo svegliarvi.» feci scivolare lo sguardo su ogni uno di loro, che mi guardavano con uno sguardo tra il preoccupato e l'assonnato.
«Cos'hai sognato?» domandò Nat, incrociando le braccia al petto. Wanda, al suo fianco, tirò più giù le maniche della giacca di pigiama blu e strofinò le mani, infreddolita. Ci pensai su, ma il sogno era svanito. Scossi il capo.
«Non lo so...» sussurrai, avvilita. Se non riuscivo nemmeno a ricordare un sogno, la situazione era grave, ma di sicuro era stato un incubo orribile per farmi urlare così tanto da svegliare gli altri. Steve mi strinse una mano tra le sue e mi sorrise appena, con dolcezza, ma non mi sfuggì il suo sguardo preoccupato.
«Riposa, ne riparleremo tra qualche ora, quando saremo tutti più riposati.» disse, lanciando uno sguardo alle due ragazze. Annuii, d'accordo con lui e lo seguii con lo sguardo mentre si alzava dal mio letto e usciva dalla camera, non senza lanciarmi un ultimo sguardo apparentemente rassicurante. Wanda e Nat, invece, si avvicinarono al letto con passo lento e titubante; le invitai a sedersi battendo la mano sul materasso e loro accettarono immediatamente, circondandomi.
«Non devi preoccuparti, è capitato anche a me.» disse Wanda, accarezzandomi un braccio. Mi sistemai per lasciare più spazio ad entrambe e poi rivolsi il mio sguardo a Wanda, che interpretò la cosa come un invito a continuare.
«Dopo Sokovia, ho avuto degli incubi orrendi. Non riuscivo a dormire e molte volte Nat ha passato intere notti al mio fianco, senza chiudere occhio.» raccontò, stringendo la mia mano nella sua. Avevo fatto qualche ricerca su Sokovia, su quello che era successo, ma non avevo mai scavato a fondo e quindi non potevo nemmeno immaginare cose le fosse successo di così terrificante da non lasciarla dormire la notte. Sospettavo fosse qualcosa di molto personale per il modo in cui evitò di spiegarmi i dettagli.
«Qualsiasi cosa tu abbia bisogno, noi ci siamo. Voglio che tu lo sappia e voglio anche che tu sappia che mi hai fatto prendere un bello spavento.» disse Nat, scoppiando in una fragorosa risata subito dopo. La seguii a ruota ed anche Wanda, poi quest'ultima lanciò uno sguardo all'orologio e si alzò, sbadigliando appena.
«Lasciamola riposare Nat, tra qualche ora suonerà la sveglia per tutti.» disse Wanda, afferrandole una mano. La rossa annuì e mi salutò con un veloce bacio sulla fronte, come una mamma, mentre Wanda si limitò ad un bacio volante. Uscirono in silenzio, chiudendo la porta alle loro spalle; mi distesi e tirai su le lenzuola e la trapunta, nel vano tentativo di riaddormentarmi: Caroline mi avrebbe svegliato da lì a qualche ora, se non prima.
Non riuscii a dormire: mi rigirai nel letto per un tempo che parve infinito ma quando gettai uno sguardo all'orologio, segnava appena le sei. Scalciai via le coperte e abbandonai il letto, infilai una vestaglia decisamente troppo di lusso che trovai in armadio e uscii dalla camera lasciando la porta socchiusa dietro di me. Il pavimento era caldo a contatto coi piedi ed il corridoio silenzioso e buio mi metteva ansia: superai la camera di Nat e, subito dopo, quella di Wanda. La camera di Steve era dall'altra parte del corridoio, proprio vicino a quella di Sam, ma io virai verso il soggiorno. La vetrata regalava una vista mozzafiato: il cielo era appena rosato, la luna brillava ancora in tutta la sua magnificenza e un leggero vento muoveva gli alberi. Era magnifico.
Sobbalzai quando un tonfo provenne dalla cucina, separata dal soggiorno da una porta a scomparsa, che era totalmente immersa nel buio. Mi avvicinai, titubante e, una volta dentro, cercai a tentoni l'interruttore sulla destra: quando la luce si accese tirai un sospiro di sollievo. Bucky se ne stava poggiato all'isola, lo sguardo di chi è già sveglio da un po', e indossava una tuta d'allenamento che gli stava a pennello.
«Come mai sveglio?» chiesi, avviandomi verso il frigorifero. Lui mi seguì con lo sguardo, quasi spaventato dalla mia presenza: inarcai un sopracciglio e gli lanciai un'occhiata un po' confusa, e poi la notai.
La mano sinistra, quella che stringeva un tramezzino, era meccanica: argentea, doppia, probabilmente gelida. La superficie apparentemente liscia sembrava continuare anche sotto la maglia dalle maniche lunghe e mi chiesi fin dove arrivasse; distolsi lo sguardo e mi concentrai sul contenuto del frigo, afferrando una bottiglietta d'acqua. Avevo bisogno di bere: finalmente capivo perché indossava sempre un guanto da motociclista.
«Non vuoi sapere com'è successo?» chiese lui, il tono di voce basso. M'irrigidii e presi un profondo respiro prima di girarmi a guardarlo: era visibilmente teso, la mano destra stringeva così tanto il bordo dell'isola che le nocche erano sbiancate, quella sinistra aveva abbandonato il tramezzino sul ripiano ed era chiusa in un pugno, abbandonato lungo il fianco. Alzai lo sguardo sul suo viso e feci incontrare i nostri sguardi, lo fissai per qualche secondo e poi chinai leggermente il capo. Mi ricordai delle parole di Nat, dei suoi consigli sulle ricerche, sull'aspettare che qualcuno fosse pronto a raccontarmi qualcosa di personale.
«No, se non sei tu a volermelo dire.» dissi, dandogli di nuovo le spalle. Afferrai una seconda bottiglietta d'acqua e richiusi il frigo, gliene lanciai una ed aprii la seconda, prendendone un lungo sorso. L'afferrò a volo senza apparente sforzo.
«Ti ho sentita gridare, prima.» disse, poggiando la bottiglietta sul ripiano, proprio vicino al tramezzino.
«Credo d'aver fatto un brutto sogno... non me lo ricordo. Non volevo svegliarti, comunque. Non volevo svegliare nessuno.» sussurrai l'ultima frase e presi un secondo sorso d'acqua, lo sguardo basso per non incontrare i suoi occhi chiari e scrutatori.
«Ero già sveglio.» esclamò, senza staccarmi gli occhi di dosso. Riuscivo a sentire il suo sguardo su di me senza nemmeno dover alzare il mio, il che era abbastanza strano.
«Come mai?» chiesi, curiosa. Poggiai la bottiglietta sull'isola e, facendo forza sulle mani, mi sedetti sulla superficie liscia: lanciai uno sguardo nella sua direzione e mi accorsi che l'ombra di un sorriso era apparso sul suo viso. Mi mancò il respiro: ero abituata a vederlo sempre molto serio, con lo sguardo perso nel vuoto. Mi domandai com'era vederlo sorridere davvero e mi stupii per la direzione che i miei pensieri stavano prendendo.
«Un incubo.» spiegò, aprendo e chiudendo più volte la mano meccanica. Sospettai riguardasse proprio quello, il suo incubo, ma non indagai. Prese un sorso d'acqua e poi abbandonò di nuovo la bottiglietta sull'isola, mi guardò un'ultima volta e si allontanò.
«Cerca di riposare, domani ti aspetta un duro allenamento.» disse, dandomi le spalle. Alzai gli occhi al cielo, ma non ero ancora pronta ad interrompere quella conversazione.
«Con te o con Natasha?» chiesi, bloccandolo a poca distanza dalla porta a scomparsa da cui ero entrata. Si girò a guardarmi con sguardo apparentemente divertito, il che mi stupì, e non poco.
«Con me, ovviamente.» disse, il tono neutro. Gli sorrisi, divertita da quello strano scambio di "battute", l'angolo destro delle sue labbra si sollevò in un mezzo sorriso e poi mi diede di nuovo le spalle. Uscì dalla cucina con passo lento ed io lo seguii con lo sguardo finché non sparì nel buio del salotto, diretto chissà dove.
Scossi il capo e tirai un lungo sospiro. All'improvviso ero sicura di due cose: che il mio interesse a stringere una sorta di "legame" con Bucky non era del tutto normale e che la mia mente non avrebbe dimenticato quel mezzo sorriso di pochi attimi prima.

Soldier. |Bucky Barnes/Avengers FanFiction|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora