Confession.

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Non allenarmi era orribile. In quei due giorni avevo passato ore ed ore a fissare il soffitto della mia camera, distesa sul mio letto, oppure a girare canali alla ricerca di qualcosa da guardare. Era noioso e così, visto che non potevo allenare il mio corpo, decisi di testare i miei poteri: era arrivato il momento di capire cosa ero veramente in grado di fare, fin dove potevo spingermi.
Quella mattina mi svegliai di buon ora e, dopo aver sistemato il letto ed indossato qualcosa di comodo, mi posizionai al centro della stanza senza la ben che minima idea di che cosa fare. Puntai lo sguardo in direzione dell'armadio, poi alzai una mano ed aspettai: non sapevo esattamente cosa, ma speravo, nel profondo, che succedesse qualcosa. Restai a fissare le ante per minuti che sembrarono infiniti e poi, con un sonoro sbuffo, abbassai la mano ed incrociai le braccia al petto.
«Cosa sta cercando di fare, Elizabeth?» domandò la voce atona di Caroline, facendomi sobbalzare.
«Sto provando ad usare i miei poteri.» spiegai, sbuffando subito dopo. Sembrava ridicolo detto in quel modo.
«E crede di riuscirci in quel modo?» domandò ancora l'intelligenza artificiale. Inarcai un sopracciglio ed alzai lo sguardo verso il soffitto, come se potessi vederla: riuscivo finalmente a vedere un po' di Tony in lei, il che era un po' inquietante. Poi, come l'accensione di una lampadina, ricordai come avevo fatto l'ultima volta durante l'allenamento con Wanda: avevo visualizzato nella mia mente uno scudo e la sfera era rimbalzata su qualcosa d'invisibile proprio davanti a me. Strabuzzai gli occhi e alzai di nuovo una mano in direzione dell'armadio: provai a visualizzare le ante che si aprivano e, chiudendo la mano in un pugno, successe davvero. Con un tonfo sordo, le ante sbatterono contro il muro ed io, sopraffatta dalla felicità, saltellai sul posto soffocando un grido di gioia. Il mio entusiasmo fu stroncato dalla fitta di dolore che mi attraversò la schiena, non ancora guarita.
Presi un lungo respiro e mi calmai, poi mi concentrai sul piccolo comodino accostato al letto. Me lo immaginai mentre si sollevava da terra e quello si sollevò per davvero di qualche centimetro, per poi ricadere di nuovo sul pavimento. Non era un grande risultato, ma era qualcosa.
Telecinesi.
«
Complimenti, Elizabeth.» esclamò Caroline ed io sobbalzai di nuovo, perché mi dimenticavo di continuo della sua silenziosa e perenne presenza.
«Grazie, Caroline.» dissi, sorridendo apertamente.
La porta della camera si aprì in quel momento rivelando un Bucky dall'espressione preoccupata, fermo sull'uscio.
«Va tutto bene? Passavo di qui ed ho sentito un rumore.» chiese, ispezionando con sguardo attento la stanza. Gli sorrisi ed annuii.
«Stavo soltanto provando a capire cosa sono in grado di fare con i miei... poteri.» spiegai, gesticolando apertamente, come se quello potesse chiarire la cosa. Lui avanzò di un passo e gettò un veloce sguardo all'armadio spalancato, poi puntò i suoi occhi chiari sul mio viso.
«Come va la schiena?» domandò, guardandomi con aria accigliata. Feci spallucce e gli diedi le spalle, puntando lo sguardo sulla vista che, ogni giorno, mi offriva l'enorme vetrata.
«Wanda dice che alcuni sono più chiari, adesso.» dissi, incrociando le braccia al petto. Lo guardai da sopra una spalla, scoperta dal top nero, e lui ricambiò il mio sguardo. Restammo in silenzio per un po', poi lui mi affiancò e, puntando lo sguardo sull'orizzonte, incrociò le braccia al petto.
«Vieni un momento con me?» chiese, all'improvviso. Mi girai completamente verso di lui ed inarcai un sopracciglio, confusa.
«Dove?» chiesi, soffocando un sorriso. Lui indicò la vista con un gesto della mano e poi fece spallucce.
«In un posto che fa impallidire questa vista.» spiegò ed io non potei far altro che annuire.
Lo seguii lungo il corridoio, poi su lungo la scalinata che portava alle palestre e poi, quando superammo anche quelle, iniziai a chiedermi dove fossimo diretti. Aprì una doppia porta che dava su altre scale ed io continuai a seguirlo, senza fiatare.
«Quando non riesco a dormire...» esclamò lui, all'improvviso, dopo la seconda rampa di scale e senza nemmeno un minimo di fiatone «...vengo sempre qui. Mi aiuta a rilassare i nervi.» aggiunse poi, quando ci fermammo davanti ad un'altra porta, più stretta di quella precedente. Quando l'aprì fui investita dal vento freddo e mi mancò il fiato quando uscimmo: eravamo sul tetto, che ci offriva, a trecentosessanta gradi, la vista del bosco che circondava il complesso e della città, all'orizzonte.
Aveva ragione, la vista in camera mia e quella in soggiorno erano nulla in confronto a quella, di una bellezza disarmante. Restai col fiato sospeso ad ammirare il cielo azzurro e limpido, nemmeno una nuvola all'orizzonte, e girai su me stessa per non perdere nemmeno una sfumatura di quella meraviglia.
«Quindi tu vieni qui, quando non riesci a dormire?» chiesi, assumendo un'espressione compiaciuta. Lui annuì e nascose un sorriso, probabilmente proprio per la mia espressione. Mi presi qualche secondo per osservarlo alla luce del sole e mi accorsi, ancora una volta, di quella bellezza malinconica che tanto mi piaceva, in lui.
«Posso chiederti perché?» chiesi, posizionandomi proprio di fronte a lui, per cogliere anche la minima espressione o il minimo cambiamento nel suo viso. Mi guardò, in silenzio, e prese un lungo e profondo respiro, poi si schiarì la gola.
«Quando ti ho detto che sapevo come ti faceva sentire l'amnesia intendevo dire che ho vissuto qualcosa di molto...simile.» disse ed io mi appoggiai al muretto in cemento, già rapita dalla sua voce. «Durante la seconda guerra mondiale la mia unità, il 107° reggimento fanteria, fu catturato dall'HYDRA. Quando Steve ci ha salvato... beh, non era più lo Steve di un tempo, ma io mi ero sempre fidato di lui, e così l'ho seguito nelle missioni successive senza battere ciglio.» prese una pausa in cui mi lanciò un veloce sguardo ed io gli sorrisi appena, a labbra strette, soltanto per rassicurarlo. Sapevo bene quanto gli stava costando quella confessione e dentro di me c'era un susseguirsi di emozioni: ansia, felicità, malinconia, tristezza e qualcosa di non definito, che mi faceva battere il cuore.
«Durante una missione, affiancato da Steve, sono precipitato da un treno in corsa. Ricordo ancora il vuoto nello stomaco, il vento, le mie grida, quelle di Steve. Non sarei dovuto sopravvivere a quella caduta, ma durante la nostra cattura erano stati fatti degli...esperimenti.» restò zitto per un po' ed io pensai che non avrebbe più parlata.
«Da quel momento in poi, le cose sono peggiorate: sono stato ritrovato dal Dottor Zola, che mi ha regalato questo e mi ha... resettato, se così possiamo dire. Credo tu non abbia cercato, sul Laptop che ti ha gentilmente regalato Tony, Soldato d'Inverno, giusto?» chiese, dopo aver indicato il braccio sinistro, ed io, in tutta risposta, scossi il capo. Non l'avevo fatto, e non avevo intenzione di farlo. Posò lo sguardo sull'orizzonte e, per un momento, si perse nei ricordi.
«Quello che mi hanno costretto a fare mi tormenta ogni notte.» sussurrò e per un momento mi sembrò completamente un'altra persona.
Gli afferrai una mano, che strinsi dolcemente nelle mie, e lui puntò i suoi occhi chiari sul mio viso; lo tirai gentilmente verso di me e lui mi si avvicinò senza opporre resistenza. Gli accarezzai leggermente un guancia, poi affondai una mano nei suoi capelli, con lo sguardo perso sul suo viso, e lo attirai verso di me facendo incontrare le nostre labbra in un dolce e breve bacio. Lui poggiò l'altra mano sul muretto alle mie spalle e, quando ci staccammo, restò ad un palmo del mio naso, fissandomi intensamente negli occhi.
«Quando abbiamo scoperto il probabile significato del mio marchio, Tony mi ha detto che non importa quello che posso aver fatto in passato, conta soltanto quello che sono adesso. So che questo probabilmente non fermerà i tuoi incubi, James, ma credo che anche per te valga la stessa cosa. Sei stato costretto a fare cose che non volevi ma per Steve, per me, conta specialmente quello che tu sei adesso.» dissi, senza distogliere lo sguardo dal suo.
Lui mi sorrise, togliendomi il fiato, e poi mi baciò di nuovo. Intorno a me il cinguettio degli uccelli fu oscurato dal battito accelerato del mio cuore mentre, nella mia mente, c'era un susseguirsi di pensieri legati alla morbidezza delle sue labbra e alla sensazione piacevole della barba ispida a contatto con la pelle delle mie guance. E in realtà non sapevo se quella fosse una cosa buona ma in quel momento, intrappolata tra quel muretto in cemento ed il suo petto, era la cosa migliore del mondo.

Soldier. |Bucky Barnes/Avengers FanFiction|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora