Another one. (Bucky/Beth) pt.2

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Bucky

Natasha era seduta sul pavimento, con la schiena poggiata al letto su cui Julie stava riposando, e quando entrammo senza preavviso scattò in piedi, pronta a colpire chiunque le si avvicinasse. Si rilassò quando focalizzò i nostri volti e si lasciò scivolare di nuovo a terra: le borse sotto agli occhi, scure e profonde, mi fecero immediatamente capire che non dormiva da un po'.
«Perchè siete qui? Dovreste essere lì fuori a cercarla.» ci ammonì, con sguardo carico d'ira e frustrazione. Lasciò andare la testa all'indietro, poggiandola sul materasso, in attesa di una risposta. Steve, al mio fianco, aprì la bocca per parlare, ma la voce bassa e femminile che parlò non era di certo la sua, ne quella di Natasha.
«Sono qui per chiedermi qualcosa.» esclamò Julie: fissava con sguardo inespressivo il soffitto, con le mani incrociate sulla pancia e i capelli scuri sparsi sul cuscino. Si alzò, lentamente, e poggiò la schiena al muro, ma tenne i piedi a penzoloni fuori dal letto. Natasha fece scattare lo sguardo su di noi, che restammo in silenzio.
«Ditemi pure.» c'invitò Julie, piegando appena la testa di lato e sollevando l'angolo delle labbra in un mezzo sorriso. Faceva saettare le pupille in modo così veloce da me a Steve, quasi vedesse qualcosa a noi invisibile, e la cosa m'incuriosì parecchio.
«La prima volta che mi hai visto,» esclamai, avanzando di un passo. Lei non si mosse di un solo centimetro e concentrò lo sguardo su di me, così fermo e gelido da farmi venire i brividi. «hai detto che riuscivi a sentire la mia paura, che ero preoccupato per la nostra amica. Julie, cosa puoi sentire esattamente?» domandai, abbassandomi sulle ginocchia, quasi stessi parlando ad un bambino. Lei restò in silenzio per un tempo infinito, in cui fece saettare le pupille ad ogni angolo del mio viso. Quando si fermò, si girò a guardare Steve e fece con lui la stessa cosa, poi la ripeté con Nat. Alla fine, tornò con lo sguardo su di me e sorrise, per davvero, mostrando i denti dritti e bianchi.
«Si basa tutto sulla vista, in realtà.» disse, con voce improvvisamente seria e udibile «Le emozioni hanno colori specifici, e a me basta solo leggerli. Alcune volte, quando un'emozione è davvero forte, riesco a sentirla. Quella volta eri molto preoccupato per Beth, ma quello era soltanto il primo strato. Proprio come adesso, Sergente Barnes.» continuò poi, legando i capelli lunghi e scuri in una coda alta, con un elastico che chissà dove si era procurata.
«Cosa vedi adesso?» domandò Nat, attirando la sua attenzione. Julie fece spallucce e giocherellò con la coda di cavallo, che si era buttata su una spalla.
«Rabbia, tristezza, frustrazione. Sono un susseguirsi in te, Nat. Così come la lealtà nel capitano, le sue emozioni sono un trionfo di blu e di bianco, con un pizzico di viola. È molto bello da guardare, ma a un certo punto gli occhi iniziano a bruciare.» disse, con voce atona, mentre faceva scivolare lo sguardo da Nat a Steve, che la osservava con sguardo curioso. Poi si concentrò su di me, e di nuovo l'angolo del labbro schizzò in alto, dando forma ad un mezzo sorriso. Nat e Steve scambiarono un veloce sguardo e poi si concentrarono su di me, curiosi.
«Ma le tue emozioni, Sergente. Una tavolozza in cui possono essere letti più di tre diverse intensità di rosso, un trionfo di nero che oscura una leggera sfumatura bluastra.» disse, quasi come se dovessi capire le sue parole. Probabilmente, avendo compreso la mia confusione, si sporse in avanti e poggiò i piedi sul pavimento. «Rabbia, coraggio... amore. E poi la paura, nera e viscida, che ti fa perdere il controllo e la lealtà verso i tuoi compagni, quest'ultima di un blu così fioco da essere appena visibile. Ecco cosa leggo nelle tue emozioni, ed è davvero interessante vedere come combattono l'una con l'altra.» aggiunse, scuotendo lievemente la testa.
Fummo investiti da un silenzio carico di tensione, mentre le sue parole mi rimbombavano nella testa. Poteva davvero vedere tutto quello, o stava semplicemente giocando con noi?Scossi il capo e mi concentrai sul vero motivo per cui ero lì.
«Puoi leggere le emozioni di qualcuno lontano?» chiesi, alzando di scatto lo sguardo su di lei. Sembrò rifletterci su per qualche momento, poi chiuse gli occhi e l'aria intorno a noi sembrò crepitare. Sotto le palpebre chiuse, riuscivo a cogliere i movimenti impazziti della pupilla, che saettava su e giù. Quando lì riaprì, erano umidi di lacrime trattenute e le sue spalle furono scosse da un singhiozzo.
«Mi dispiace...» mormorò, portandosi una mano all'altezza della tempia. Fu scossa da un altro singhiozzo e le lacrime scivolarono silenziose sul suo viso, mentre anche l'altra mano raggiungeva la tempia scoperta. «Soffre...» mormorò, e potei sentire il mio cuore perdere qualche battito, distintamente. Steve al mio fianco arretrò, come scottato, e ci diede le spalle poggiando una mano alla parete, quasi per sostenersi.
«Che vuol dire?» domandò Nat, con un filo di voce. Julie si rannicchiò sul letto, così tanto da riuscire a stringere la ginocchia tra le braccia, e continuò a singhiozzare. Restammo in silenzio, con Nat che teneva una mano affondata nei capelli rossi e Steve, che dopo essersi staccato dal muro aveva poggiato una mano sulla mia spalla, e non l'aveva più tolta.
«Significa che è tardi, ormai.» disse, dopo un po', e nell'udire quelle parole fui costretto ad uscire, bisognoso d'aria. Salii le scale di corsa, fino al corridoio e poi dritto al tetto. Quando fui all'esterno fui costretto a respirare profondamente diverse volte, prima di riuscire a riprendere il controllo su me stesso e sulla mia mente, che vorticava furiosamente attorno a quelle parole. Fui assalito dalla paura, che scivolava silenziosamente sotto pelle, fino a raggiungere lo stomaco e stringerlo in una morsa straziante. Ero tormentato da quelle parole, che rimbombavano nelle mie orecchie, più forti del rumore del mio cuore che batteva furioso nel petto, del vento che furioso muoveva le cime degli alberi, del caos lontano della città che seppur attutito ci raggiungeva.
Era tardi. Ma per cosa, esattamente? Da quanto soffriva così tanto?
Nonostante questo dubbio assillante, promisi a me stesso di non smettere di cercarla, perché qualsiasi cosa le era successo, poteva essere cambiato.
Eravamo gli Avengers, maledizione.
Potevamo rimediare a tutto, o almeno così speravo.


Soldier. |Bucky Barnes/Avengers FanFiction|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora