"What are you doing up?"

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Morrison mi aspettava in soggiorno, in piedi e con le braccia incrociate, sul viso l'espressione seria e a tratti infastidita. Puntò il suo sguardo su di me non appena varcai la soglia, affiancata da Steve, che aveva silenziosamente deciso di seguirmi.
«Voleva vedermi, Agente?» chiesi, poggiando un fianco allo schienale del divano. Lui guardò Steve, che nel frattempo lo fissava senza nemmeno sbattere le palpebre, e l'ombra di un sorriso divertito gli comparve sul viso.
«Freni i suoi insulti, Capitano.» disse Morrison e Steve strabuzzò gli occhi. Io inarcai un sopracciglio ed avanzai di un passo, portando di nuovo l'attenzione su di me.
«Agente» dissi, prendendo poi un lungo respiro «come fa a sapere quello che sta pensando il capitano?» chiesi, assumendo un tono di voce duro ed irremovibile, formale. Lui alzò gli occhi al cielo, un gesto che mi fece innervosire, e poi lascio scivolare lo sguardo sulla mia figura in un modo che mi fece sentire in imbarazzo.
«Credevo sarebbe stato ovvio, dopo aver detto quella frase.» disse, facendo spallucce. Sospirai e mi mossi a disagio, lanciando poi un veloce sguardo a Steve, che ricambiò.
'Mi sta già sul cazzo' pensai, pentendomene subito dopo. Morrison strabuzzò appena gli occhi e poi scoppiò in una fragorosa risata che fece inarcare un sopracciglio a Steve. Quest'ultimo mi si avvicinò di qualche passo e si chinò verso di me così da potermi parlare all'orecchio.
«Perché ride?» chiese, con tono preoccupato. Sospirai e lo guardai per qualche secondo.
«Credo riesca a leggere i nostri pensieri... ho pensato che mi stava... ehm... sul cazzo.» spiegai, sussurrando l'ultima parole. Se possibile, Steve strabuzzò ancora di più gli occhi.
«Linguaggio.» esclamò, e fui io quella che scoppiò in una fragorosa risata. Lui alzò gli occhi al cielo e poi puntò di nuovo lo sguardo su Morrison che, nel frattempo, si era calmato e ci fissava con sguardo curioso. Mi calmai, prendendo profondi respiri, e tornai seria.
«Perché ha voluto vedermi subito, Agente?» chiesi, schiarendomi la gola, con ancora gli occhi umidi di lacrime per le troppe risate. Lui si avvicinò di qualche passo e, con la coda dell'occhio, vidi Steve muoversi appena, pronto a scattare se necessario. Anche se qualcosa mi diceva che non ce ne sarebbe stato bisogno.
«Volevo presentarmi per bene e concordare con...te, gli orari per le nostre sedute.» disse, un po' titubante sul darmi del 'tu' o del 'lei'. Inarcai un sopracciglio.
«Sedute?» chiesi, incrociando le braccia al petto. Cos'era, uno psicologo?
«Come pensi potremmo recuperare i tuoi ricordi, Beth?» mi chiese ed io assunsi un'espressione allibita, me ne resi conto. Mi schiarii la voce, urtata da non so cosa, e assunsi una posizione più rigida.
«Vorrebbe essere semplicemente più chiaro?» chiesi, facendo trasparire tutta la mia impazienza dal tono di voce. Lui trattenne una risata, quasi divertito dal mio comportamento, e prese un lungo respiro.
«Mi chiamo Marcus, gradirei mi desti del tu e le sedute serviranno per recuperare i tuoi ricordi. Il modo? Devo entrare nella tua mente, visto che ne sono in grado, e capire cosa c'è che non va in quella testolina. Tutto chiaro?» chiese, facendo saettare lo sguardo da me a Steve, e viceversa. Ci fu qualche attimo di silenzio in cui assimilai le informazioni, poi arretrai di un passo.
«Vuoi entrare nella mia testa?» chiesi, un po' titubante. Era imbarazzante pensare che avrebbe visto, per modo di dire, tutti i ricordi che avevo accumulato da quando ero lì al complesso. C'erano cose che avrei voluto tenere per me, tipo tutto quello che riguardava Bucky; di certo non volevo condividerle con lui, che era un perfetto estraneo per me.
«Devo se vuoi scoprire qualcosa senza subire... traumi. Sarà un processo graduale, quindi ci vorrà del tempo, principalmente per aiutare te ad abituarti ai vecchi ricordi.» spiegò, senza staccare per un momento gli occhi dal mio viso. Annuii appena, momentaneamente priva di parola, e lui sorrise. Steve, al mio fianco, soffocò uno sbuffo infastidito.
«Iniziamo domani mattina?» chiese, incrociando le braccia al petto. Mi riscossi dal mutismo in cui ero precipitata e scossi il capo, riassumendo una posizione più sicura.
«Ho gli allenamenti con Natasha, di mattina, e quelli con Bucky di pomeriggio.» dissi, spiegandogli i miei impegni. Sorprendentemente, sul suo viso si aprì un sorriso che mi creò non poco imbarazzo.
«Preferisci di sera?» chiese ed io arretrai di un altro passo, affiancandomi a Steve. Aprii la bocca per parlare ma fui preceduta da una voce profonda che conoscevo bene.
«Di mattina andrà benissimo.» disse Bucky, varcando la soglia del soggiorno e attirando immediatamente la mia attenzione su di se. Si era cambiato e adesso indossava pantaloni di tuta decisamente più comodi e una maglia dalle maniche lunghe che gli fasciava a perfezione il busto. Mi lanciò una veloce occhiata e poi si concentrò su Marcus, che perse il sorriso dal viso ed assunse un'espressione quasi di sfida che non capii.
«E Natasha?» chiese, riferendosi a quello che avevo detto poco prima. Bucky non sembrò scomporsi più di tanto e, incrociando le braccia al petto, avanzò di un passo verso di lui. Fui tentata di frappormi, ma alla fine ci ripensai.
«Li farà con me, ma questo non dovrebbe interessarti, agente.» disse ed io feci saettare lo sguardo da lui a Marcus più volte, quasi stessi assistendo ad un incontro di Tennis. Fu l'agente il primo ad abbassare lo sguardo, ma solo per puntarlo su di me, probabilmente per avere il mio consenso.
«Di mattina andrà bene.» confermai e lui annuì appena. Ci guardò tutti ancora una volta e si chinò a raccogliere il borsone che gli stava proprio davanti ai piedi.
«Bene. La mia stanza?» chiese, con espressione scocciata. Steve gli indicò il corridoio con una mano.
«Seguimi, te la mostro, agente.» disse, avviandosi. Marcus lo seguì senza più fiatare, ma non lasciò il soggiorno senza avermi prima lanciato un ennesimo, lungo, sguardo che non riuscii a decifrare. I due sparirono lungo il corridoio ed io mi voltai a guardare Bucky, trovandolo già a fissarmi. Arricciai il naso e mi avvicinai lentamente, con ancora le braccia incrociate al petto e l'ombra di un sorriso sul viso.
«Era gelosia quella che ho percepito?» chiesi, scherzosa. Lui, quando fui abbastanza vicina, mi sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e fece spallucce.
«Può darsi.» disse e il mio sorriso si ampliò così tanto che le guance furono scosse da una fitta di dolore, che ignorai deliberatamente.

Soldier. |Bucky Barnes/Avengers FanFiction|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora