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Wanda si accorse della mia notte insonne non appena varcai la soglia della palestra, quella mattina. Mi guardò con sguardo preoccupato, le mani sui fianchi e i capelli legati in una morbida crocchia.
«Perché non hai dormito?» chiese ed io le mostrai quella sottospecie di marchio, di cui ancora non conoscevo l'aspetto e gli raccontai dell'incubo che mi aveva tenuta sveglia.
«Mio dio, chi ha mai potuto fare una cosa del genere?» chiese ed io, in risposta, feci spallucce. C'avevo pensato tutta la notte ma non ero riuscita a venirne a capo, complice anche la mia amnesia. Mi ero sentita frustrata, impotente, carne da macello.
«Che forma ha?» chiesi, perché nonostante avessi provato a capirlo passandoci più e più volte i polpastrelli sopra, non c'ero riuscita; specchiarmi poi era stato impossibile, per il posto in cui si trovava. Lei titubò per un secondo, poi mi sorrise.
«Alleniamoci, va bene? Ci penseremo dopo.» disse ed io, dopo un attimo di confusione, annuii. In un battito di ciglia, mi ritrovai distesa sul pavimento, spinta da un'onda rossa che mi colpì in pieno.
«Questo è scorretto!» mi lamentai, rialzandomi lentamente. Massaggiai il punto della schiena che avevo sbattuto e mormorai tra me e me. Lei rise e fece schioccare le dita, poi quello che poteva sembrare fumo rossastro le fuoriuscì dalle mani ed io arretrai di un passo.
«Ehi!» mi lamentai, indicandola «Non è equo!» aggiunsi poi, scattando di lato quando mi scagliò addosso una sfera creata con movimenti veloci della mano. Le lanciai un'occhiataccia e poi presi un lungo respiro, rilassai le spalle e quando lei provò a colpirmi di nuovo con un'altra sfera immaginai uno scudo davanti a me, per proteggermi. Alzai le mani pochi attimi prima che la sfera mi colpisse, che mi avrebbe spedito sicuramente a terra, e una scarica elettrica le attraversò: la sfera rimbalzò su qualcosa d'invisibile che la spedì di nuovo verso Wanda, che la evitò con un veloce gesto della mano.
«Si!» esultò, saltellando sul posto per qualche attimo. Risi per la reazione spropositata e quando m'invitò ad unirmi a lei con un gesto della mano, alzai le braccia verso l'alto e gridai. Poi scoppiamo entrambe a ridere.
Quello era un bel passo in avanti per il controllo dei poteri, specialmente perché forse iniziavo a capire come funzionavano, dovevo solo capire fin dove si estendevano, quello che ero capace di fare.
«Su, ancora!» m'incitò lei e così ricominciammo. Fui spedita a terra qualche volta, in cui mi lamentai per i dolori alla schiena, ma riuscii a fermare i suoi colpi altrettante volte.
«Mio dio, è un miglioramento enorme.» esclamò Wanda, mentre ci dirigevamo verso la cucina. La presi a braccetto e sorrisi, perché ero contenta di quel risvolto inaspettato che aveva drasticamente migliorato la mattinata.
«Si, e devo ringraziare specialmente te, Wanda.» le dissi, sincera. Le dovevo davvero molto, come a tutti gli altri. Lei strinse leggermente la presa sul mio braccio e mi sorrise, poi varcammo la soglia del soggiorno e raggiungemmo finalmente la cucina, dove Visione stava provando a cucinare qualcosa dietro ai fornelli.
«Da quando cucini, Visione?» chiesi, affiancandolo. Lui mi guardò con aria colpevole ed indicò la pentola, piena di un intruglio che non poteva per niente essere classificato come commestibile.
«Credo d'aver sbagliato qualcosa.» disse, puntando lo sguardo sul 'cibo'. Arricciai il naso e feci spallucce, poi gli sorrisi e lui fece lo stesso, a labbra strette.
«Sta tranquillo, possiamo risolvere tutto.» dissi, e così mi unii a lui nel vano tentativo di cucinare qualcosa di commestibile. Alla fine mangiammo sandwich al prosciutto con contorno di patate, quelle avanzate dalla cena della sera precedente.



Quel pomeriggio fissai la porta della palestra per quelle che mi sembrarono ore. Il cuore batteva così forte da coprire qualsiasi altro rumore ed una sola era la domanda che mi affollava la mente: come dovevo comportarmi? Insomma, dopo il bacio avevo visto Bucky solo alla cena e quello non era ne il luogo ne il momento per affrontare l'argomento. E poi, dovevamo parlarne? Ero terribilmente confusa.
Alla fine, varcai la soglia con finta nonchalance. Lui mi dava le spalle, fermo vicino ad una delle panche, intento a trafficare con qualcosa che non riuscivo a vedere. La porta sbatté dietro di me, annunciando la mia entrata e attirando la sua attenzione: si girò a guardarmi e, dopo alcuni attimi di silenzio, inarcò un sopracciglio e mi venne incontro: le bende strette tra le mani, il braccio meccanico quasi del tutto scoperto da una T-shirt grigia dalle mezze maniche. Da un po' non indossava più nemmeno il guanto e, solo a pensarci, la cosa mi faceva sorridere.
«Come mai quelle occhiaie?» domandò, indicandomi gli occhi. Sbuffai e incrociai le braccia al petto.
«Si vedono davvero così tanto?» chiesi, inarcando un sopracciglio. Lui rise appena e mi afferrò una mano, iniziando a fasciarla con cura per l'allenamento. I movimenti lenti delle sue mani che fasciavano le mie, il freddo del metallo a contatto con la mia pelle... fui ipnotizzata da tutto ciò per alcuni secondi, poi alzai lo sguardo sul suo viso.
«Un incubo.» spiegai, schiarendomi la voce «e una scoperta scomoda» aggiunsi poi, arricciando il naso. Lui inarcò un sopracciglio e puntò lo sguardo sul mio viso, in attesa di spiegazioni, e così gli raccontai dell'incubo e, dandogli la schiena, gli mostrai il marchio nascosto dai capelli. Continuavo a chiedermi come avevo fatto a non accorgermene prima.
«Tony ha detto che lo farà scannerizzare da FRIDAY, ma la cosa mi ha un po' destabilizzata.» affermai, incrociando le braccia all'altezza del petto. Restammo in silenzio per qualche secondo, poi Bucky m'invitò a seguirlo al centro della palestra con un cenno del capo. Assunsi la posizione di difesa e piantai bene i piedi sui tappetini.
«Devi stare tranquilla, Tony sistemerà tutto e scopriremo chi ti ha fatto questo.» disse, poi mi attaccò, prendendomi di sorpresa. Mi abbassai di scatto, schivando il suo pungo per un soffio, e lo colpii al ginocchio con un calcio ben piazzato. Lui perse per un attimo l'equilibrio ed io, scivolando sui tappetini, gli afferrai una caviglia e tirai poi, facendo forza su una mano, lo colpii al petto con un calcio, spedendolo al tappeto. Mi alzai velocemente e lo guardai dall'alto verso il basso. Lui, scuotendo appena la testa, si mosse velocemente ed io mi ritrovai al tappeto, senza nemmeno capire come. Odiavo quando faceva così.
«Ti ho detto mille volte che non devi abbassare la guardia.» mi ammonì, rialzandosi. Lo imitai e, coraggiosa, decisi di attaccare per prima: lo caricai, correndo veloce, ma lui provò a colpirmi con un pugno e dovetti scattare di lato per schivarlo. Mi abbassai e rotolai, rialzandomi alle sue spalle, e lo colpii al fianco: lui mi afferrò la gamba, nonostante il dolore dovuto al colpo, e afferrandomi il fianco con l'altra mi sollevò da terra di qualche centimetro, poi mi spedì al tappeto. Una fitta dolorosa mi attraversò la schiena quando colpii rumorosamente i tappetini, spezzandomi il fiato: strabuzzai gli occhi e mi girai sul lato, in cerca d'aria. Lui s'inginocchiò al mio fianco, veloce come un fulmine, e mi guardò con sguardo preoccupato mentre emettevo rantoli di dolore. Mi tirò indietro i capelli con una mano e poi mi afferrò la nuca, girandomi il capo verso di lui.
«Respira, Beth.» disse e prese un lungo respiro «Fai come me.» ordinò. Io provai, più volte, e quando ci riuscii tutto sembrò meno ovattato. Il tutto era durato meno di trenta secondi, eppure a me erano sembrate ore.
«Cosa diavolo è successo?» domandò, visto che non era la prima volta che usava quella mossa per mettermi al tappeto.
«La schiena...» mormorai, provando a tirarmi su.
«Sta ferma!» ordinò mentre, con cautela, tirava su la maglia nera che indossavo. Imprecò a bassa voce quando puntò lo sguardo sulla mia schiena.
«Quando ti sono venuti questi?» chiese, con espressione arrabbiata. Inarcai un sopracciglio e provai a capire di cosa stesse parlando, invano.
«Cosa?» chiesi, confusa. Lui si tirò su e mi allungò una mano per aiutarmi a rialzarmi; accettai, dolorante, e continuai a guardarlo con un sopracciglio inarcato.
«Sei piena di lividi. Non va bene, così. Devi fermare gli allenamenti, per un po', altrimenti la tua schiena potrebbe risentirne.» disse, serio come non l'avevo mai visto.
«Cosa?» urlai «Per qualche livido, Bucky?» chiesi, infuriata. Stava ingrandendo la situazione.
«Ti sei vista?» gridò lui, furioso, poi, vedendo la mia confusione, mi afferrò un braccio e mi trascinò nei bagni della palestra. Mi posizionò davanti allo specchio, di schiena, ed alzò la maglia con gesti infuriati. Mi mancò il fiato. Avevo la pelle ricoperta da grossi lividi violacei, qualcuno più chiaro degli altri, alcuni decisamente troppo scuri.
«Devi interrompere gli allenamenti, almeno per un po'.» esclamò, questa volta con molta più dolcezza nella voce. Lasciò andare il tessuto ed io alzai lo sguardo sul suo viso, sgomenta. Come avevo fatto a non accorgermene?
Mi accarezzò una guancia e poi, titubante, mi lasciò un tenero bacio sulla fronte.
«Starai bene.» mormorò, stringendomi a se con un braccio. Annuii e mi rilassai per quel contatto.
Aveva ragione, come sempre.

Soldier. |Bucky Barnes/Avengers FanFiction|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora