On the roof.

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«Puoi sederti qui.» esclamò Marcus, indicando il divano dove, il giorno prima, si era tenuta la nostra seduta. Feci come aveva detto e mi rilassai contro lo schienale, reclinando la testa. Nat, al mio fianco, mi afferrò una mano e la strinse tra le sue, per farmi capire che lei c'era; aveva insistito per assistere e nonostante l'avessero fatto anche Tony e Steve, avevo permesso solo a lei d'essere presente. Gli altri ci avevano lasciato il soggiorno libero, comprensivi come non mai.
«Sarà come ieri, quindi cerca di rilassarti.» sussurrò Marcus, poi posizionò le dita ai lati delle mie tempie e fui di nuovo invasa da quella sgradevole sensazione: qualcosa che strisciava silenziosa nel mio cervello. Le immagini si susseguirono con una velocità maggiore della volta precedente e poi, dopo aver superato i ricordi che avevo recuperato soltanto il giorno prima, tutto divenne nero e una fitta intensa di dolore mi fece irrigidire e stringere convulsamente la mano di Natasha. Non ero preparata a quel dolore, ne a quello che venne dopo:

mi vidi, di spalle, come se fossi lì ad osservare la scena dall'esterno, mentre venivo trascinata lungo un corridoio bianco. Indossavo un lungo camice da ospedale, allacciato sulla schiena, i capelli erano decisamente lunghi ed ero a piedi nudi. Ero più bassa, probabilmente più giovane, ma non riuscivo a vedere il mio viso. Due uomini, entrambi con spalle larghe e camici da dottori, mi tenevano per le braccia mentre una donna dai lunghi capelli neri ci precedeva, camminando con passo veloce.
«Ti prego...» sussurrai, piantando i piedi a terra, nel vano tentativo di fermare quella camminata verso il patibolo, o almeno così sembrava a me.
«Lo sai, tesorino, sei pronta per la fase due.» esclamò la donna, fermandosi davanti ad un enorme porta, controllata da due guardie.
«Non è vero,» mi lamentai, con voce strozzata «lui si sbaglia.» continuai poi, singhiozzando. Le due guardie si spostarono, lasciando libero il passaggio e aprendo la doppia porta. La donna si girò a guardarmi ma il suo viso era offuscato, non riuscivo a metterlo bene a fuoco. Sapevo, però, che stava sorridendo.
«Lui non sbaglia mai.» disse e poi ci precedette, varcando la doppia porta. Urlai, mi dimenai e scalciai, in preda ad una paura ceca.

«Basta! Fermati!» stava gridando Natasha quando riaprii gli occhi. Avevo la fronte madida di sudore, il cuore che batteva all'impazzata e la gola mi bruciava. Mi ci volle qualche secondo per capire dove mi trovavo e mi guardai intorno spaesata.
«Beth, guardami!» ordinò Nat, afferrandomi il viso con entrambe le mani. Puntai lo sguardo sul suo viso e mi rilassai, presi un profondo respiro ed annuii, come a dirle "sto bene". Gettai un veloce sguardo verso Marcus, che mi fissava con espressione esterrefatta e si era allontanato di qualche passo.
«Sto bene...» mormorai, strofinandomi gli occhi con il palmo delle mani. Marcus si avvicinò e mi sfiorò la spalla, attirando la mia attenzione.
«Scusami, non volevo riesumare qualcosa di così traumatico senza prima avvisarti.» disse, aggirando il divano ed inginocchiandosi proprio davanti a me.
«Cos'è successo?» domandò la voce familiare di Bucky, che varcò la soglia con espressione preoccupata. Improvvisamente, la paura e l'ansia scomparvero, sostituite dalla voglia di rifugiarmi tra le sue braccia. Girai di scatto la testa verso di lui incontrando il suo sguardo, già su di me: vidi distintamente la rabbia accendersi nei suoi occhi, mista alla confusione. Una combinazione atomica. Puntò lo sguardo su Marcus, ancora inginocchiato, ed avanzò di un passo. Nello stesso momento, scattai in piedi ed aggirai il divano.
«Va tutto bene.» dissi, avvicinandomi quanto più potevo a lui, sotto il suo sguardo attento, che aveva riportato su di me nell'esatto momento in cui avevo aperto bocca.
«Che cos'ha fatto?» chiese, serio come non l'avevo mai visto.
«Beth...» esclamò Marcus, con tono basso, facendo scattare di nuovo lo sguardo di Bucky su di se.
«Fa silenzio!» ordinò quest'ultimo, indicandolo con un dito. Marcus si alzò, pronto a rispondere, ma lo fulminai con uno sguardo, zittendolo. Nel frattempo, Tony e Steve, con Wanda, Clint e Visione, ci avevano raggiunti, preoccupati.
«Perchè hai urlato? Che succede?» domandò Steve, col fiatone.
«Il ricordo era un po'... forte.» spiegò Nat al mio posto.
Poggiai una mano sul torace di Bucky, proprio all'altezza del cuore, e lui si concentrò di nuovo su di me. Feci spallucce, anche se ero un po' spaventata per quella reazione.
«Va tutto bene, Bucky...» sussurrai, annuendo alle mie stesse parole. Lui sembrò rendersi conto della presenza degli altri solo in quel momento: sbatté svariate volte le palpebre, guardò il resto dei presenti e poi si concentrò di nuovo su di me. Mi fissò per qualche secondo e nello sguardo gli lessi una strana indecisione che non riuscii a spiegarmi, poi mi afferrò la mano e la strinse nella sua.
«Si...» sussurrò, in modo che potessi sentirlo solo io «hai ragione.» aggiunse poi, schiarendosi leggermente la gola. Calò un silenzio carico d'imbarazzo e di tensione che, come sempre, fu Tony a spezzare.
«Per oggi basta con queste sedute,» disse, lanciando un veloce sguardo a Marcus «Pepper ha portato i vostri vestiti, ragazze.» aggiunse poi, guardando Nat e Wanda. La prima mi si avvicinò e, dopo aver lanciato un veloce sguardo a Bucky, che mi lasciò la mano e affiancò Steve, mi si piazzò davanti.
«Ti va di vedere il mio?» chiese, sorridendo appena. Annuii e poi fummo affiancate da Wanda.
«Posso unirmi a voi?» chiese, prendendomi sotto braccio. Annuii di nuovo e poi le seguii fuori dal salotto, in corridoio. Prima di uscire, però, lanciai un veloce sguardo a Bucky che, per tutto il tempo, non mi aveva staccato gli occhi di dosso.

Soldier. |Bucky Barnes/Avengers FanFiction|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora