CHAPTER 16: Can't sleep

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‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍"‍ Sei per caso convinto che fare una buona azione ti assicuri un posto in paradiso, Wilson? Un demonio come te...non troverebbe il suo posto nemmeno fra le fiamme dell'inferno. "

Wade si svegliò di soprassalto. Il cuore gli batteva forte nel petto, la fronte madida di sudore, sotto lo spandex rosso che gli copriva il volto. Rimase seduto sul letto, gli occhi puntati nell'oscurità della notte, finchè il suo battito non tornò regolare. Odiava doverlo ammettere, ma forse quello scienziato pazzo non aveva tutti i torti.
La faccia terrorizzata che Kate gli aveva rivolto quel pomeriggio glielo confermava. Cosa sperava di ottenere con tutta questa storia un mostro come lui? Un grazie?
E anche il fatto che qualcuno glielo avesse detto sarebbe stato qualcosa di nuovo per lui.
Tornò a sdraiarsi sul materasso del lettino su cui stava dormendo poco prima. Dopo aver ucciso Larrie, lui e Kate, erano andati nell'hotel più vicino e avevano prenotato una stanza per due nella quale passare la notte e riposarsi un po'.
La pelle gli doleva. Essere pieno di cicatrici sul corpo aveva più di un lato negativo e quello peggiore, oltre al fatto di apparire disgustoso, era quello del dover sopportare il dolore che procuravano. Davano un fastidio tremendo. Ne aveva parlato con Weasel un giorno e l'amico gli aveva suggerito di provare a prendere dei farmaci. Seguendo il suddetto consiglio, ne aveva testati molti e l'unico che aveva avuto effetto su di lui erano le pastiglie di morfina che portava sempre con sè. Quel giorno, però, aveva dimenticato la sua dose giornaliera. Si alzò, prese la scatola di pastiglie dalla borsa e tornò a sedersi sul materasso.
- Immagino di non essere stata l'unica ad aver fatto un incubo. -
L'uomo si voltò verso la voce, vedendo Kate distesa sul letto accanto al suo, la trapunta alzata sul petto e gli occhi fissi sul soffitto.
- Già, a quanto pare siamo in due. - rispose l'uomo ingoiando un paio di pasticche e buttandole giù bevendo da una bottiglietta d'acqua appoggiata sul comodino che lo fiancheggiava.
Si sentiva decisamente meglio ora.
- È da un po' che volevo chiedertelo...perchè prendi quelle pastiglie? - domandò la ragazza senza guardarlo.
- Per le cicatrici. Purtroppo non si limitano a esserci, danno anche fastidio. - rispose l'uomo.
La giovane annuì.
- Dato che ormai siamo svegli che ne dici, se ti raccontassi la mia storia? Tu mi hai raccontato la tua. -
La rossa sembrò pensarci su, poi gli fece un cenno di assenso.
- Ti ascolto. -
- Sappi che non ci saranno risarcimenti se la storia non sarà di tuo gradimento. -
- Ricevuto. -
Wade si schiarì la gola prima di iniziare.
‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍- Mio padre lasciò la famiglia quando avevo dieci anni, da allora mia madre affondò la sua sofferenza negli alcolici per non lasciare che la disperazione la consumasse.
"L'alcol l' aiutava a dimenticare la sua situazione" sosteneva, e anche se l'effetto non durava a lungo, era l'unico modo che conosceva per non pensare all'abbandono di quel bastardo che ero solito chiamare papà. Non era mai lucida quando le parlavo e in cuor mio ero contento che il suo datore di lavoro non l'avesse mai vista in quelle condizioni penose, perchè se l'avesse licenziata non le sarebbe stato facile trovare un'altra occupazione abbastanza in fretta da non permettere ai poliziotti di cacciarci da casa. Anche se ormai più che una casa era diventata una vera e propria baracca. Le bollette erano alte e il suo stipendio troppo basso. Facevo il liceo quando la vidi tirare le cuoia. Avevamo scoperto da poco che era affetta da un cancro in fase terminale. Un giorno, non si era sentita bene e quello che io credevo fosse solo un banale svenimento dovuto alle troppe sostanze alcoliche che assumeva, si rivelò essere il primo sintomo di una malattia che la portò, presto, alla tomba. In quel periodo smisi di andare a scuola e decisi di rimanere accanto a lei fino alla fine perchè fondo, seppur a modo suo, lei mi aveva voluto bene. Certo non me lo aveva mai dimostrato apertamente ma mi era rimasta sempre accanto, facendo il possibile per garantirmi il necessario...per non farmi mai sentire diverso dagli altri. Anche se forse questo non riuscii mai ad apprezzarlo abbastanza all'epoca. Io diverso dagli altri, lo ero comunque. Le malelingue che giravano sulla mia famiglia erano tante. Non avevo un padre e mia madre era alcolizzata. Era un buon pretesto per gli altri ragazzini per additarmi ed etichettarmi come "Wilson lo sfigato", il poveraccio che non poteva permettersi tutte le cose di marca che avevano loro...o più semplicemente una vita come la loro. Una vita "normale", come erano soliti chiamarla. Io...non sapevo cosa fosse ma mi sono sempre ripromesso che se un giorno avessi deciso di metter su famiglia sarebbe stata una decisione ben ponderata e che mi sarei impegnato per garantire una vita ordinale ai miei figli perchè sapevo cosa significasse non averne una.
Quando mia madre finì in terapia intensiva, io rimasi incollato allo sgabello accanto al suo letto.
Mi assicuravo che consumasse i pranzi che le venivano consegnati e le davo la sua dose quotidiana di farmaci prescritti dal medico di turno. Le parlavo, le accarezzavo la mano, ma lei dormiva...dormiva e basta. Non faceva altro tutto il giorno. Tutto questo durò una settimana.
Una dannata settimana prima che la mano che stringevo nella mia diventasse gelida. Era una sera di fine dicembre quando mia madre decise di passare a miglior vita. Era buio e nevicava. Ricordo che rimasi qualche minuto a stringere la sua mano priva di vita nel vano tentativo di realizzare che non ci sarebbe stata più. - Wade fece una breve pausa, Kate lo guardò ma vide che il suo viso era rivolto verso il soffitto. Schiuse le labbra ma lui riprese a parlare e lei non disse nulla.
- In quell'occasione rincontrai mio padre, che dopo ben sette anni di assenza, sentita la notizia della morte della ex moglie, si fece vivo al suo funerale. La cerimonia non durò molto e la poca gente che vi aveva assistito lasciò il cimitero in fretta, ritornando alla loro vita di tutti i giorni. Fui l'ultimo ad andarmene. Quando lasciai quella bara, mi voltai e non vi tornai mai più. Successivamente decisi di arruolarmi nell'esercito, abbandonando definitivamente lo studio e la scuola.
Fu così che scoprì che mio padre era un alto ufficiale delle forze militari.
Non rimasi molto nell'esercito, giusto il tempo che mi serviva per imparare come muovermi durante le missioni, come sopravvivere in condizioni estreme e come utilizzare l'artiglieria.
In breve diventai uno dei migliori soldati e decisi di mollare tutto per darmi alla carriera da mercenario.
In fondo l'unica cosa in cui ero sempre stato bravo era rovinare la vita degli altri. E se potevo essere pagato per questo, tanto meglio.
Persi mio padre durante una discussione in un bar che degenerò in una rissa violenta e sanguinosa. Lui non era fra i contendenti, fu semplicemente coinvolto, ma ci lasciò subito la pelle. Non rimpiansi molto la sua morte. Non avevo ricordi di lui.
Solo qualcuno vago che risaliva a prima che decidesse di uscire dalla mia vita e da quella di mia madre, rovinandole entrambe. -
Wade bevve un sorso d'acqua, la gola secca al ricordo di quei vecchi momenti.
- Iniziai quindi la mia carriera da mercenario. Durò anni. Divenni un killer professionista. Venivo pagato bene per sporcarmi le mani di sangue e a me non dispiaceva affatto. Era come se uccidere fosse diventato il mio unico svago, il mio unico scopo nella vita... almeno finchè non trovai una ragazza di cui mi innamorai perdutamente. Si chiamava Vanessa. Lavorava in un quartiere a luci rosse, era il suo modo di guadagnarsi da vivere. Ma a me non interessava che lavoro facesse. A me interessava lei.
Il resto non importava. Anche Vanessa accettava il mio lavoro da sicario ed entrambi speravamo che con i soldi che avrei ottenuto dalle mie missioni lei avrebbe potuto smettere di vendersi per guadagnare qualcosa.
Vivevamo insieme da un po' ormai, Natale era alle porte e con esso anche la mia proposta di fidanzamento.
L'avevo pianificata da un po', senza sapere che in realtà non sarebbe mai avvenuta. La Vigilia di Natale, infatti, venne consegnata una lettera al mio appartamento. Quando Vanessa me la diede quella sera, al mio ritorno da una missione, la trovai stranamente familiare. E quando l'aprii, capii il perchè di quella sensazione.
Assomigliava alla lettera indirizzata a mia madre, che avevo letto, anni prima, sul tavolo della cucina della mia vecchia casa di famiglia. Mia madre era svenuta durante il lavoro, sapevo che era stata portata in ospedale e che l'avevano dimessa il giorno stesso dopo averle fatto un breve esame, a cui non avevo assistito perchè mi trovavo a scuola.
Quando vidi mia mamma aprire quella lettera, ancora non immaginavo che quello fosse il preannuncio di un male che l'avrebbe portata via da me.
Quando, dopo anni, lessi, sul foglio di carta che reggevo fra le mani, quella parola che tanto avevo odiato dopo la morte di mia madre non ci potevo credere. Anch'io avevo il cancro.
Avevo passato degli anni bellissimi da quando ero diventato un mercenario, avevo persino incontrato quella che credevo sarebbe stata la donna della mia vita. E, invece, ecco che crollava di nuovo tutto. Ecco che la situazione mi scivolava nuovamente dalle mani e cadeva precipitosamente.
Impotente, non me la sentii di far assistere Vanessa alla mia morte. Non volevo che lei vivesse l'esperienza che io avevo provato quando la malata di cancro era mia madre e non io.
La lasciai e in cuor mio sperai che incontrasse l'uomo della sua vita, l'uomo che potesse renderla felice.
L'uomo che non potevo essere io per lei, anche se avrei voluto. -
Kate si sistemò sul letto, affondando la guancia nel cuscino, gli occhi incollati alla figura di Deadpool. Non l'aveva guardata nemmeno una volta dall'inizio del suo racconto. Per un attimo, la giovane, si chiese se ancora lui provasse qualcosa per Vanessa. Si domandò se avesse voluto vederla di nuovo. Ma non ebbe il coraggio di dar voce al suo interrogativo.
- Così, raccolsi le mie cose, me le misi in spalla, e iniziai a vagare senza una meta o uno scopo preciso. L'idea di finire in terapia intensiva non mi allettava per niente. Mi rifugiai nel bar del mio migliore amico e fornitore d'armi, Weasel, e fu qui che un uomo vestito di nero fece il suo ingresso sedendosi al mio tavolino e presentandosi. Mi disse di conoscere il mio problema. Anzi...di avere la soluzione al mio problema. Sostenne di sapere come curarmi e di essere in grado di "potenziarmi". Disse di potermi far diventare un eroe.
Lì per lì non gli credetti e non accettai di seguirlo, così l'uomo mi lasciò il suo recapito telefonico nel caso avessi cambiato idea. Nei giorni successivi ci riflettei a lungo e giunsi alla conclusione che valeva la pena tentare. Era la mia ultima spiaggia.
Chiamai quel numero e in breve tempo mi accorsi della cazzata che avevo combinato. Venni portato in un laboratorio malandato, dove, il capo Ajax, alias Francis, e la sua assistente, mi iniettarono un siero e mi torturarono per giorni con l'intento di far mutare una sostanza nel mio corpo. Non avendo risultati quel sacco di merda decise di chiudermi in una cabina e togliermi parte dell'ossigeno, lasciandomi in un limbo tra la morte e la vita, per due giorni interi.
Quel supplizio fece attivare il gene del siero creando degli anticorpi che attaccassero il cancro che mi donassero la capacità di guarire, qualunque cosa accadesse. Al contempo tutto ciò rovinò la mia pelle per sempre, trasformandomi in un mostro. Diciamo che con la faccia che mi ritrovo potrei benissimo fare da controfigura a *Freddy Krueger senza bisogno di trucco o effetti speciali. -
Wade sospirò.
- Ora Francis è morto. L'ho ucciso ma sono comunque costretto a indossare un costume per nascondere il mio aspetto normale. Giurai che avrei fatto sparire anche l'attività di quel sadico bastardo e il laboratorio di Hector era l'ultimo sulla mia lista. -
Un altro sospiro lasciò le labbra dell'uomo che, avendo terminato il suo racconto, si sentiva più leggero. Allo stesso tempo però rivangare vecchi ricordi gli aveva fatto sentire una strana fitta al cuore, riportando alla superficie dolori passati che aveva sempre cercato di soffocare e dimenticare. Fu grato alla sua maschera e al fatto che essa non gli permettesse di lasciar trasparire alcuna emozione. Non aveva il coraggio di staccare gli occhi dal soffitto. Era l'unica cosa che aveva fissato da quando aveva cominciato a parlare e ora si sentiva troppo vulnerabile per guardare la ragazza che gli stava accanto.
Kate, lo guardò con mestizia. Le loro storie erano diverse ma lei comprendeva bene cosa significasse il dolore di essere abbandonati, di non essere capiti e di essere torturati.
Il suo sguardo cadde suo braccio del mercenario, disteso lungo il bordo laterale del letto, e allungò una mano verso di lui. Non le fu difficile raggiungerlo dato che la distanza fra i due letti era poca. Gli accarezzò delicatamente l'avambraccio.
Wade fu sorpreso da quel contatto inaspettato e si voltò a guardarla.
- Non ti nasconderò che oggi pomeriggio l'idea che tu fossi un mostro mi abbia sfiorato la mente. Ho avuto paura...ma vedi, ci ho pensato su e i mostri sono senza cuore mentre tu mi hai dimostrato in più occasioni di averlo. Quindi ritratto quello che ho pensato. Non sei un mostro. Quello che hai dovuto passare ti ha reso quello che sei, sia nel bene che nel male. Ti ringrazio per aver deciso di condividere il tuo passato con me. - gli disse Kate ritirando la mano e chiudendo gli occhi. La sicerità nelle parole della ragazza avevano colpito Wade, che era rimasto a fissarla anche quando lei non l'aveva più degnato di uno sguardo, finendo presto nel mondo dei sogni.
Un silenzio assoluto calò nella stanza.
Per un attimo il mercenario sentì più neanche le voci nella sua testa. Si toccò il braccio. La carezza della ragazza era stata lieve eppure in qualche modo adesso si era ritrovato a sentirne la mancanza. Tornò a osservare la giovane vedendo la sua espressione incupirsi. Dedusse che la causa di ciò fosse un altro incubo.
Si guardò la mano, poi la protese verso quella di Kate dapprima sfiorandole il dorso poi afferrandola con delicatezza, quasi temesse di farle del male. La vide rilassarsi e le labbra di Wade si incurvarono in un sorriso.
- Sogni d'oro. - sussurrò e guardò le stelle che li illuminavano fuori dalla finestra prima di chiudere gli occhi.
Le loro mani rimasero intrecciate anche dopo che il sonno vinse su di lui facendolo addormentare.

~

Note:

~ It's alright
(È tutto okay)
You'll be fine
(Starai bene)
Baby, I'm in control
(Tesoro, ho il comando)
Take the pain
(Prendi il dolore)
Take the pleasure
(Prendi il piacere)
I'm the master of both
(Sono il padrone di entrambi)
Close your eyes
(Chiudi gli occhi)
Not your mind
(Non la tua mente)
Let me into your soul
(Fammi entrare nella tua anima) ~

* Adam Lambert ~ "For Your Entertainment" *

Forse Avrei dovuto mettere questo pezzo di lyrics per il capitolo precedente ma va beh.
V(・ω・)v )

Comunque.....

...ciao a tutti! :)
Oggi ho deciso di svelarvi il passato di Wade. Ovviamente io non mi sono attenuta al film ma a varie storie delle sue origini scritte nei fumetti (in particolar modo mi sono ispirata a un volume della saga di Deadpool e Cable) riadattandole un po'.
Per quanto riguarda la citazione di Wade, *Freddy Krueger è l'antagonista del film horror Nightmare che, come Deadpool, ha la faccia ricoperta di cicatrici e ustioni. Spero che questo capitolo, o più in generale la mia storia, fin ora, vi piaccia. Vi ringrazio per la lettura e spero tornerete a leggere la prossima parte che pubblicherò. ;)
Bacioni a tutti. (˘3˘)

❀ 𝑺𝒂𝒗𝒆 𝑴𝒆 ❀《𝒊𝒏 𝒓𝒆𝒗𝒊𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆》Where stories live. Discover now